Prologo, I Racconti di Raistlin

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Xsantralas
view post Posted on 20/5/2010, 16:32




ecco qua,finito il prologo ^^ ho riunito tutto in un unico post per facilitare la lettura...se un moderatore mi facesse il favore di mettere questo come importante e cancellare/bloccare quello a pezzi se narei grato. Negli ultimi due racconti appaiono Aramyl e Osrecnac (Recconas è un banale anagramma) e poi io come bibliotecario ;) (ruolo marginale,ma non troppo,visto che nel frattempo sono diventato pure warlord :P)
E ora si va a incominciare,buona lettura ^^

STEEL DRAGONS STORY




La battaglia infuriava violentemente e benché si stesse protraendo da circa quattro ore,il furore e il vigore degli attaccati non accennava a diminuire,forse anche perché non avrebbe potuto né aumentare né diminuire; i non morti non provano fatica.
Non si poteva dire lo stesso degli attaccanti. Un manipolo di orchi aveva infatti attaccato e saccheggiato Okhit-Dal,un piccolo villaggio che si trovava sulla costa del Mare Arcobaleno.
Quando Raul Vonemar,il generale di un esercito di non morti che vagava su quelle terre,seppe della notizia non esitò a partire.
Mandò i suoi migliori esploratori in cerca di tracce che li aiutassero a individuare la direzione presa dagli orchi dopo la razzia. Un manipolo di dieci vampiri ubbidì all’ordine e cominciarono a avviarsi,sparendo nella foresta davanti loro come fantasmi. Dopo breve i vampiri che erano partiti tornarono,riferendo scherzando a Raul che un mago avrebbe lasciato tracce meno evidenti se avesse lanciato palle di fuoco sugli alberi.
Sorridendo Raul si girò verso un'altra persona,l’unico vivo del campo. Era vestito elegantemente,con lunghe vesti di seta dorate che ricadevano poco al di sopra delle caviglie, producendo una leggera gobba sul ventre. Calzava delle stravaganti babbucce anch’esse dorate e in testa portava un curioso turbante bianco,con un grande rubino al centro che quando era giorno la luce del sole faceva brillare in modo abbagliante.
Non colse le parole del vampiro e quindi non capì perché il suo amico Vonemar lo stesse osservando divertito.
Fu proprio il mago a riportare in vita il negromante,mesi prima,in un disperato atto per salvarsi dalle orde di non morti che lo avevano oramai accerchiato.
Prima di quel giorno infatti Raul era ancora una persona viva,in grado di respirare,e di nutrirsi,ma adesso era soltanto un corpo senziente.
Grazie a Raul quel giorno Thanelos,questo era il nome del mago,ebbe salva la vita. Il negromante ebbe in fatti il potere di controllare quei non morti e in breve tempo affinò le sue tecniche,diventando molto abile in un arte che per tutta la durata della sua vita aveva aborrito.
Infatti tutta la sua famiglia,composta da cinque fratelli più il padre,da generazioni combattevano i non morti che infestavano il continente,finché un giorno il padre e uno dei fratelli perirono per proteggerlo per aiutarlo ad adempiere al compito di uccidere un signore dei Lich,che minacciava chiunque fosse vivo.
In una battaglia di poco conto però Raul perse la vita. Un potente mago nemico era riuscito a coglierlo in un momento di distrazione.
Guidati dai vampiri esploratori Raul e il suo esercito,centinaia tra zombie e scheletri e qualche decina tra lich e vampiri,raggiunsero presto il luogo dove gli orchi stavano bivaccando. Era un grande spiazzo spoglio sia di alberi che di erba e,seduti su grandi massi,alcuni ogre stavano brindando con dei teschi umani,usati come calici,contenenti uno strano liquido verdognolo,mentre diversi gruppi di goblin stavano accatastando legna da ardere.
A quanto pare si sentono al sicuro penso Raul,e questo lo divertiva. Non sarebbe stato uno scontro impegnativo.
Rapidamente diede ordini alle sue truppe di schierarsi in modo tale da tagliare ogni via di fuga a quel piccolo manipolo di razziatori.
“Gavir,fai disporre arcieri e lich su questo lato,pronti a sparare al mio segnale,non appena tu e gli altri vampiri abbiate raggiunto il lato opposto. Gli orchi non sono mai stati intelligenti e appena li colpiremo a distanza non esiteranno a scappare,fuggendo nella direzione opposta. Lì voi li attenderete pronti a fare una carneficina. Gli zombie portali ai lati Est e Ovest,per intercettare i restanti fuggitivi. Tutto d’accordo?”
Il vampiro annuì semplicemente agli ordini del suo signore e così fece.
Silenziosi come ombre i vampiri si portarono in pochi istanti dalla parte pattuita con Raul,e dopo non dovettero far altro che aspettare,spade in mano.
Mentre gli orchi parlavano tra loro nella loro lingua gutturale un piccolo goblin si avvide del pericolo quando era comunque sia troppo tardi. Al limitare della foresta,in mezzo a tutto il verde degli alberi i suoi occhi videro un puntino rosso,crescere sempre più,fino a diventare una sfera grande circa come un ogre. La curiosità iniziale divenne orrore quando si avvide di che materiale era fatto il globo: fiamme vive,pulsanti,che avviluppavano la sfera per tutta la sua grandezza,e il goblin vide quest’ultima divenire sempre più grande,sempre più vicina,sempre più calda.
A quel punto anche gli altri ogre notarono la sfera. I veterani compresero subito la natura del globo e cominciarono a fuggire,senza neanche avvisare i loro compagni,correndo dritti in bocca ai vampiri,come previsto.
La maggior parte di quel gruppo però non avevano mai visto una magia simile e capirono di essere condannati troppo tardi.
La deflagrazione fu assordante; le urla di agonia degli orchi sopravvissuti vennero spente dalle innumerevoli frecce scoccate dagli scheletri subito dopo l’incantesimo attuato da Thanelos.
Anche gli orchi che erano fuggiti vennero portati al silenzio dagli efficienti vampiri.
In poco tempo tutti si riunirono là dove era esplosa la palla di fuoco,con Raul che attendeva un rapporto di Gavir sui fuggitivi.
“Ancora una volta mi devo congratulare per la tua bravura nelle arti magiche,Thanelos”
Il mago rispose al complimento con un semplice sorriso,mentre vide che sopraggiungeva il drappello di vampiri.
“Non un solo orco è riuscito a fuggire,sono tutti morti,pronti per essere…”
Gavir non riuscì a concludere la frase che un’ascia gli si piantò dritta nella spalla. Se avesse potuto provare dolore avrebbe urlato. Ma la sua reazione fu una occhiata furiosa laddove era stata scagliata l’ascia,ma non vide nulla. La estrasse dalla spalla con un urlo più di rabbia che di dolore,deciso a porre fine alla vita di quello stupido orco.
Raul però pose repentinamente un braccio sul petto del suo luogotenente,intimandogli di non farlo.
“Questi orchi sono più furbi di quello che mi aspettassi” fu il suo unico commento.
Raul senza dare neanche una spiegazione cominciò a dare ordini al suo esercito.
“Scheletri,in fretta,mettevi al centro della radura. Gli zombie si dispongano accanto agli scheletri e i Lich accanto agli zombie. Voi vampiri invece pronti all’ingaggio corpo a corpo su quel lato.
Thanelos,amico mio,unisciti nel gruppo degli scheletri,sarai più protetto,e sbrigati a alzare un muro di vento che ci protegga dai colpi dell’esercito.”
Il mago annuì,capendo che non c’era tempo per le domande,quando un’altra ascia sibilò vicino a lui.”
Il vero combattimento sarebbe cominciato di lì a poco.
Quel gruppo di orchi era stata soltanto un esca per portare in quel punto l’esercito che dava la caccia agli orchi,e Raul ci era cascato in pieno. Ora la situazione era critica.
Dagli alberi sbucarono lupi dal manto nero come la notte,sul cui dorso si trovavano goblin impugnanti delle spade apparentemente molto affilate. Decine di lanciatori di asce che fino a poco tempo prima si erano mimetizzati completamente con la vegetazione circostante,uscirono allo scoperto,rivelando sulle loro robuste spalle delle asce uguali a quelle che avevano colpito Gavir poco prima.
Dal cielo un acuto stridio spinse Raul e Thanelos a guardare verso l’alto,ma quello che videro non fu affatto piacevole. Decine di giganteschi uccelli simili a aquile volteggiavano in tondo sul campo di battaglia.
“Ah ah ah,poveri idioti. Ora voi fa brutta fine sotto potere di muscoli di orchi”
Dalla foresta spuntò anche un grande ogre con in mano una minacciosa ascia a due mani. Raul potè vedere il suo volto con chiarezza. Due minuscoli occhi rossi occupavano una porzione piccolissima del grande volto dell’orco. Aveva un tatuaggio inciso nella pelle su una guancia. Era pelato e ciò gli conferiva un tono ancora più aggressivo. La sua corporatura muscolosa non lasciava dubbio che chiunque si fosse trovato tra le sue braccia avrebbe avuto la spina dorsale rotta in pochi attimi.
Senza proferire alcun’altra parola l’ogre diede l’ordine di attaccare.
Gli uccelli che volteggiavano sopra la testa di Raul e del suo esercito lasciarono cadere dei giganteschi massi che stringevano con gli artigli,riducendo in polvere decine di sventurati zombie che si erano trovati giusto sulla traiettoria dei massi.
In sequenza gli orchi scagliarono le loro asce,ma le più vennero respinte dal muro di vento magico innalzato dal Mago. I lupi cominciarono a caricare l’esercito di non morti,andando a impattare contro i vampiri. E scheletri e lich controbatterono al fuoco nemico.
Lo scontro ebbe inizio.
I vampiri combattevano con foga e tenacia ma a quanto sembrava quegli orchi sembravano conoscere i loro punti deboli e molti si incenerirono all’istante con una spada piantata nel cuore o con le teste mozzate. Thanelos intanto scagliò un altro incantesimo,un'altra palla di fuoco,ma questa volta gli effetti furono minimi,se non nulli. Nessun orco infatti cadde a terra ustionato o dolorante,e la sua espressione provocò l’ilarità del generale orco.
“Noi addestrati a tua sporca magia. Tu non può fare niente contro noi!”
Sputo a terra dopodiché sottrasse un ascia a un orco vicino a lui e la scagliò con forza verso il mago.
L’ascia superò il muro di vento ma questo le fece cambiare direzione e andò a impattare sul cranio di uno scheletro che andò in frantumi.
Nel frattempo i lupi erano stati decimati dalle frecce degli scheletri,incuranti di colpire i vampiri superstiti,in quanto a loro non sarebbe stato causato danno alcuno.
Uccisi i lupi e i loro cavalieri,vampiri e zombie si lanciarono alla carica contro gli orchi e benché fossero partiti insieme gli zombie arrivarono molto dopo i vampiri addosso agli orchi.
Si sentivano gli orchi urlare di dolore,Raul poteva vedere alcuni suoi vampiri mordere in più punti i corpi degli orchi,con l’intenzione di succhiare loro tutto il sangue che avevano in corpo.
Lo scontro si protrasse ancora per ore senza i non morti evidenziassero un accenno di stanchezza.
Il generale orco aveva da tempo perso la sua spavalderia. Benché avesse ucciso lui stesso moltissimi zombie il loro numero sembra non diminuire mentre diminuivano rapidamente le sue truppe e la sua forza fisica.
Raul intanto non aveva ancora mosso dito,in quanto era troppo occupato a pensare a come neutralizzare quelle sottospecie di aquile che stavano decimando il suo esercito e che erano troppo distanti per essere raggiunte dalle frecce degli scheletri.
Gli venne un idea soltanto in quel momento,ma non esitò a metterla in atto.
Pronunciando alcune parole arcane fece apparire sulle ali delle aquile una sostanza melmosa,che fece rallentare i movimenti degli uccelli fino a quando non furono più in grado di sbattere le loro ali.
Si schiantarono a terra in pochi secondi,e il suono delle loro urla di terrore fece gioire un lato dell’animo di Raul.
Alla fine anche l’ultimo orco venne ucciso e il grande ogre rimase da solo. Circondato non buttòl’arma ma si gettò a testa bassa tra i vampiri con l’intento di massacrarne il più possibile.
Non fu così però; Gavir,che era tra i vampiri sopravvissuti allo scontro gli si parò davanti e frenò la corsa dell’ogre.
L’ogre sorrise nel trovarselo davanti,ritenendolo una facile preda. Velocemente alzò l’ascia fin sopra la testa e la fece calare con forza contro gavir,che pose la sua spada davanti al suo volto per intercettare l’arma nemica.
Gli allenati muscoli del non morto ressero l’impatto e prima che l’incredulo ogre si potesse riprendere dallo stupore,scattò in avanti e piantò la spada tra i robusti addominali dell’ogre.
Raul fece riunire tutto ciò che rimaneva del suo esercito,e poté constatare che le perdite erano state disastrose,ma ciò non gli importava molto. C’era molta carne fresca a terra e tutta la notte davanti per far sorgere un nuovo esercito di fedeli sudditi.

***


Correva con il sudore che colava incessantemente dalla sua fronte. Spesso si guardava intorno,frenetico,lo sguardo pieno di terrore. Non vedeva nulla. La perenne semioscurità di quelle caverne forniva un’ottima copertura,e loro erano da sempre maestri nell’arte della furtività. Non sarebbe riuscito a vederli neanche alla luce del Sole,ma sapeva che erano lì,lo stavano inseguendo. Il suono dei suoi passi veniva potenziato dall’eco dei cunicoli. Avrebbero capito senza difficoltà dove si trovava.
Un semplice click fece capire al fuggiasco che la sua latitanza,e probabilmente anche la sua vita,erano finite.
Un piccolo dardo saettò veloce nell’aria e il fuggiasco umano sentì una dolorosa fitta al polpaccio. Urlando si buttò a terra,portando entrambe le mani alla gamba ferita e contraendo il volto in una smorfia di profondo dolore e paura. Il veleno aveva già cominciato a fare effetto.
Corpi eterei bluastri apparvero intorno a lui. Danzavano attorno al suo corpo,ridendo. Toccarono la sua fronte e lui cominciò a sentirsi strano,come se qualcosa stesse lottando dal suo interno per uscire. Dopo qualche istante vide una mano bluastra uscire dal suo petto. Era lui! Guardò se stesso con un aria mista di stupore e terrore,mentre vedeva la sua anima lottare per uscire dal suo stesso corpo. Una volta uscita l’anima lo guardò,dopodiché si girò e si allontanò insieme agli altri esseri bluastri.
Dall’ombra emerse una decina di persone,con in pugno delle piccole balestre. Estrassero il dardo allucinogeno dalla gamba dell’uomo e attesero che arrivasse il loro capo. Avrebbero voluto utilizzare un dardo mortale,ma era stato vietato loro di uccidere quell’uomo. Ai fuggiaschi provvedeva direttamente il loro capo.
Non erano molto alti,e vestivano abiti semplici,scuri come la notte,con un mantello che arrivava alla fine della schiena. L’unica cosa che si poteva notare erano due lunghe orecchie che fuoriuscivano da un cappuccio che nascondeva l’intero volto,lasciando intravedere soltanto due puntini rosso sangue,laddove si sarebbero dovuti trovare gli occhi.
Passi cadenzati risuonarono alle loro spalle. Non si voltarono,già sapevano chi fosse e perciò si allontanarono dal corpo dell’uomo. Uscito dalle ombre,l’elfo scuro si ritrovò davanti ai suoi esploratori. Avevano svolto egregiamente il loro compito,ora doveva svolgere il suo. Senza degnarli di uno sguardo sorpassò gli altri elfi,e si avvicinò all’umano. L’effetto del dardo era oramai svanito e il fuggiasco poté osservare l’elfo scuro avvicinarsi. Era vestito elegantemente,gli anelli che portava alle mani sembravano rilucere di energia propria.
Prese l’umano per la gola e senza molta fatica lo tirò su. Poteva osservare i suoi occhi terrorizzati,che cominciavano a versare qualche lacrima sapendo già cosa sarebbe successo di lì a poco. Un maligno sorriso apparve sulla bocca dell’elfo. Lasciò la presa e lo fece cadere a terra, poi si abbassò.
“Che ne dici se adesso facciamo un giochino?”
La sua voce era un sibilo,simile più a un serpente che a un elfo. Estrasse un piccolo pugnale dall’elsa tempestata di gemme,e la fece passare davanti gli occhi dell’uomo.
“Sai cosa ti aspetta adesso,vero? La giusta punizione per aver tentato di fuggire”
Le lacrime cominciarono a sgorgare copiose dagli occhi dell’uomo,terrorizzato. Non voleva morire.
L’elfo emise una risata acuta,una risata che rimbalzo sulle pareti della caverna,sembrando provenire da ogni direzione.
Ordinò agli altri elfi di bloccare a terra l’uomo,e dopo averlo fatto, lentamente cominciò a far passare la punta del pugnale sul petto dell’uomo,tagliando il logoro tessuto che lo copriva.
Scoperto il petto,lo incise lentamente per tutta la sua lunghezza. L’uomo cominciò a contorcere il volto in una smorfia di dolore. Tentò di divincolarsi,ma la stretta degli elfi era ben salda.
Il sangue cominciò a uscire lentamente dalla ferita. Insoddisfatto,l’elfo incise nuovamente nello stesso punto,questa volta più a fondo. Il sangue cominciò a uscire a fiotti.
L’uomo urlò.
L’elfo,con calma,ripose il pugnale,e estrasse da una tasca ciò che all’uomo sembrarono due piccoli uncini. Gli uncini vennero infilati all’altezza dello sterno,dalle due estremità delineate dalla ferita.
“Forse adesso sentirai un po’ male” sibilò.
Poi li afferrò saldamente e tirò in due direzioni diverse. La pelle venne strappata via dalla carne senza difficoltà. Come un lenzuolo viene tirato via dal letto.
L’urlo di dolore dell’uomo fu interminabile.
“Se ti stai chiedendo come mai non sei morto o svenuto,ti dico subito che è merito mio.” Disse l’elfo,ma l’uomo riuscì a malapena a sentirlo,il dolore era troppo acuto per permettergli di percepire altro. Poi improvvisamente il dolore passò. L’uomo era sorpreso,non capiva cosa fosse successo. Alzando lo sguardo poté vedere la sua stessa gabbia toracica e tutto ciò che essa conteneva.
“è così che studiamo il corpo degli esseri viventi.” Spiegò l’elfo “ma tu non sei qui per essere studiato.”
L’elfo allungò la mano verso il suo corpo e la inserì all’interno della gabbia toracica. Poté sentire il viscidume degli organi,ma non gli dava fastidio. Scansò un polmone per raggiungere la sua meta: il cuore. Lo afferrò saldamente. Poteva sentirlo battere all’impazzata,pompando più sangue possibile all’intero corpo e al cervello dell’uomo. Sorrise,osservando il volto dell’uomo: Il volto era un misto di sudore e lacrime,gli occhi erano spalancati dal terrore,le narici dilatate per permettere un maggior passaggio d’ossigeno e il respiro estremamente affannoso.
“Addio.” Sussurrò.
Le mani si strinsero repentinamente attorno al suo cuore,come una morsa,comprimendolo finché non esplose. Un fiotto di sangue lo investì ma non ci fece caso,non gli importava molto. L’uomo,a terra,lanciò un ultimo grido di dolore,mentre la vita lentamente se ne stava andando dal suo corpo.
Tutto il sangue lentamente cadde a terra,colando per i fianchi,mischiandosi alla terra,formando uno strano impasto. L’elfo estrasse ancora il pugnale,si abbassò verso la fronte dell’uomo e incise di nuovo. Non tracciava una linea questa volta,ma una parola: S E R P A V.
Il suo nome.
Era una sua preda e come ogni preda lui la marchiava con il suo nome inciso sulla fronte.
Compiacendosi di se stesso,Serpav si alzò,ringuainò il pugnale e cominciò a tornare da dove era venuto insieme agli altri elfi.
“Era proprio nece…” l’elfo che aveva parlato non finì la frase. Tra le mani di Serpav scivolò un altro pugnale,contenuto all’interno delle maniche e venne immediatamente lanciato verso la gola dell’elfo. Immediatamente portò le mani alla gola,poi cadde morto a terra.
“Mai rivolgermi la parola senza il mio permesso” ammonì Serpav rivolto verso il cadavere.
Gli altri elfi non proferirono parola,né si mostrarono impauriti. Annuirono semplicemente.
Ripreso il pugnale e pulitolo sui vestiti del cadavere,se ne andarono silenziosi come le ombre di cui erano figli.

***


Fuoco. Esso lambiva con le sue lunghe lingue l'ambiente circostante. Fiumi di lava scorrevano attraverso canali rocciosi diramandosi più e più volte,sino a creare un magnifico reticolo rosso. L'aria,satura di zolfo;la luce,solo quella prodotta dalle fiamme. Così appariva l'immensa grotta infernale.
Una gigantesca volta di roccia,culminante con minacciose stalattiti al cui interno svolazzavano migliaia di piccoli esseri demoniaci,sorridenti;sorresi privi di gioai,pieni di sadismo. Il caldo opprimente avrebbe ucciso chiunque; solo ai demoni e alle creature infernali era concessa la possibilità di abitare quel luogo di malvagità.
Al centro della grotta vi era un immenso palazzo interamente scavato nella roccia viva;imponenti torri presidiate da strani esseri femminili alati con fattezze umane. Esse erano vigili,attente che nessun ospite indesiderato entrasse.L'interno era costituito da unenorme corridoio a tre navate,sorrette da possenti colonne finemente intarsiate;il soffitto,un piatto tappeto di lava sorretto magicamente,fungeva da illuminazione,il terreno era invece uno spartano pavimento in pietra,in evidente contrasto con il resto e con le pareti,levigate e decorate con bassorilievi raffiguranti scene di guerra tra demoni e altre razze o tecniche di tortura. Alla fine della navata centrale,vi erano due esseri infernali:pelose zampe ovine unite a un possente busto umano corazzato e un orrendo muso caprino,con occhi neri come il carbone e due lunghe corna ritorte che fuoriuscivano dagli elmi delle loro armature colore dello zolfo. Questi sorvegliavano,alabarde in mano. un immenso portale anch'esso minuziosamente cesellato,raffigurante due immensi volti demoniaci che,severi,scrutavano chiunque volesse entrare. I due satiri erano irrequieti,quello che stava accadendo non piaceva a nessuno,si poteva notare che non fossero felici di trovarsi lì in quel momento.
Dietro il portale infatti era in corso una riunione tra i migliori e più spietati generali dell'Inferno. La sala,a differenza dell'ingresso dell'edificio,era una piccola grotta circolare scarsamente decorata e arredata soltanto con qualche arma appesa sulle pareti.Sulle pareti,delle fiaccole,poste a intervalli regolari per fornire una sorta di illuminazione. Al centro,un singolo tavolo di legno con sopra diverse mappe dell'Inferno o delle grotte limitrofe. Intorno al tavolo vi erano numerosi individui,che erano intenti a discutere riguardo la difesa del luogo.
Erano esseri dalle fattezze quasi umane;uno di loro indossava un'armatura rosso cupo che rifulgeva tetra alle fiamme delle torcie,quasi animata di vita propria per via di quell'ipnotizzante gioco di luci.Sui due guanti pesantemente borchiati si potevano notare traccie di sangue ormai essiccato,chiaro avvertimento che le borchie non erano semplici decorazioni. Un grande spadone di uno strano metallo anch'esso rosso pendeva dalla sua schiena.
"Dobbiamo trovare il modo di difenderci."
Stava dicendo agli altri demoni presenti in sala.
"Non sarà molto difficile,giochiamo in casa,noi sappiamo come sfruttare ogni singola buca del terreno qua fuori."
Intervenne un altro.
"Abbiamo già perso troppe truppe,il rapporto ci è sfavorevole,non possiamo essere avventati."
Fu la risposta di un terzo.
"Potremmo sferrare un attacco frontale,non avranno tempo per organizzarsi."
"Troppo rischioso,solo un idiota attuerebbe un piano simile."
ribattè il primo. Il demone offeso guardò con astio Ur-Salak e subito portò la mano alla spada,cosa che il demone dall'armatura rossa accolse con un sorriso,pronto a combattere.
I loro animi si raffreddarono subito dopo insieme a tutta la stanza. Un vento gelido spense tutto d'un tratto tutte le fiaccole e buttò le carte a terra. Altrettanto improvvisamente,apparvero tre serpenti fiammeggianti che cominciarono a avvolfersi sinuosi come su di un tronco invisibile. Arrivati al culmine le fiamme aumentarono,creando un cono di fuoco dal quale emersero tre distinte figure,una perogni serpente che esplose subito dopo.
"L'alto Consiglio..."
Disse pieno di riverenza Ur-Salak,lasciando la presa sulla spada in procinto di essere sguainata.
Adesso,in quella sala,si trovavano i più potenti demoni degli inferi occidentali: Tre colossi armati che erano stati convocati per salvaguardare il loro dominio.
Il demone al centro tese la mano con il palmo rivolto verso l'alto davanti Salak e gli altri. Era coperta da un guanto d'arme ma si poteva notare al di sotto una mano di colore scuro,forse bruciata. Compresero immeditatamente cosa voleva,così Salak raccolse da terra una mapa della zona. Come gli fu consegnata la spiegò sul tavolo e la studiò attentamente.
Nel frattempo anche gli altri due arcidemoni si erano avvicinati al tavolo,pur mantenendo un certo distacco da quello che stava consultanto la mappa.
Un osservatore esterno abrebbe facilmente potuto pensare che fossero un complesso scultoreo,tale era la loro immobilità.
"Sir Drachenflame?"
Alitò quasi tremando Salak.
"Taci."
Fu la secca risposta che provenne dal demone,il cui viso erano integralmente coperto dall'elmo.
"Chi è il memico?"
Chiese Drachenflame dopo alcuni attimi di estenuante silenzio. La voce era profonda,guttarale,intrinseca di odio.
"Un plotone di creature infernali provenienti da un clan ostile. Le nostre sentinelle ci avvisano che un gran numero di succubi sono pronte a sparare su qualunque cosa capiti loro a tiro."
L'enorme demone rimase immobile a ascoltare ciò che gli veniva detto.
"Arden,Kimura,radunate i vostri eserciti. È tempo che il nemico assaggi il vero potere di chi domina questi luoghi."
Poche parole,che lasciarono però intendere che Drachenflame,nella sua mente,avesse già ideato un piano.
Gli alri due generali annuirono,dopodichè tutti e tre gli arcidemoni,senza una parola di congedo, si teletrasportarono fuori. Dopo poche ore i cadaveri nemici ricoprivano la maggiorparte del terreno. I tre Signori dei Demoni,armi in pugno e con le armature macchiate dal sangue nemico,stavano finendo i pochi superstiti indifesi; se non fosse stato per l'elmo che impediva la vista del volto,si sarebbe potuta constatare una gioia immensa sulle loro facce mentre infilavano la propria arma nel petto di un nemico supplicante pietà.

***


Nella foresta tutto taceva. Non un solo suono animale era udibile, perfino il vento, che stava portando le nubi su quel cielo così sereno, sembrava non riuscire a toccare le foglie e le fronde degli alberi. Sembrava che in quel bosco il tempo si fosse fermato. L’unico rumore fu quello improvviso e secco di una freccia che fendeva l’aria, scagliata con assoluta precisione sul cervo che, tranquillo e ignaro del pericolo, stava brucando l’erba. L’elfo, immobile dietro il tronco di una quercia, seguì con lo sguardo la freccia finché essa non si piantò nel cranio della bestia, che si accasciò a terra. Non voleva farlo soffrire, e colpendo il cervello, era sicuro che ciò non fosse avvenuto. L’elfo si avvicinò alla carcassa,si inginocchiò e innalzò una preghiera agli dei, promettendo che nulla, di quell’essere magnifico, sarebbe stato sprecato. Estrasse la freccia dal cranio,e il sangue cominciò a uscire macchiando di rosso l’erba.
“Aramyl,muoviti,siamo in ritardo.”
Disse un altro elfo,poco distante. Aramyl sospirò,poi si mise in spalla il cadavere e si diresse verso Gavisal, la città elfica per eccellenza. Nessuno sapeva il motivo per il quale era stata indetta quell’assemblea; era stata infatti una cosa improvvisa.
Aramyl non aveva mai conosciuto i suoi genitori. La madre,un elfa scura stranamente piena di scrupoli,appena riprese le forze dopo il parto,scappò via con il suo bambino. Aveva letto di un condotto che portava alla superficie e era seriamente intenzionata a raggiungerla,e fu così che i Cacciatori le si aizzarono contro. Aveva diversi giorni di vantaggio,in quanto all’inizio nessuno si accorse della sua scomparsa ma quando passarono a ritirare il bambino per portarlo nella Scuola d’Addestramento,lontano da lei,capirono tutti. Aveva dato più volte segni di debolezza e quell’atto fu la proba definitiva del suo tradimento. I Cacciatori vennero subito incaricati di andarla a riprendere: quella fu la prima missione di Serpav. Le tracce degli elfi scuri erano tra le più difficili da seguire,in quanto erano addestrati proprio per non lasciarne,ma i Cacciatori confidavano che una madre in fuga,disperata e spaventata,avrebbe commesso facilmente qualche errore. E così fu: delle tracce lasciate nel fango stavano guidando Serpav e il resto del gruppo. Raggiunsero la donna il terzo giorno,oramai stremata dalla mancanza di cibo e acqua. Giaceva a terra. I capeli,una volta lisci come la seta,erano arruffati e increspati. Il volto e le mani completamente sporchi di terra rappresa e le vesti,misere come la sua condizione sociale,sgualcite e strappate in più punti. Stava singhiozzando,e quando il gruppo si fece più vicino,cominciò a piangere forte,nascondendosi il volto con le mani. Quella fu la prima uccisione di Serpav tra i Cacciatori.
Il bambino però era scomparso,ma non se ne curarono più di tanto: se non era già morto,lo sarebbe stato presto. Tornarono quindi in città,portando con loro la carcassa della donna come priva della riuscita della missione la donna però non stava piangendo per l’arrivo dei Cacciaori: le sue erano lacrime di gioia. Era riuscita nel suo scopo: aveva lasciato suo figlio più avanti,in una grotta collegante con la superficie,e poi era tornata indietro per impedire ai cacciatori di raggiungerla quando si trovava troppo vicina al bambino. L’ultimo suo pensiero fu che il bambino non avrebbe vissuto in quel mondo di orrori,e che,se fosse sopravvissuto,avrebbe avuto probabilmente una vita migliore di quella che avrebbe avuto tra i suoi simili.
Durante tutta la fuga il bambino aveva alternato il sonno al pianto e all’allattamento e quando fu abbandonato stava proprio dormendo,tanto che commosse sua madre al punto da farle pensare di riprendere il bambino con sé e continuare la fuga. Un pensiero fugace e folle,che non attecchì nella mente della giovane madre.
Quando si svegliò fece quello che fanno tutti i neonati quando si svegliano: cominciò a piangere. Fortuna volle che lì vicino,in quel momento,un gruppo di giovani elfi stesse giocando a nascondino,e uno di loro si era nascosto proprio nella grotta dove si trovava il pargolo,così che poté sentirne distintamente il pianto. Un brivido freddo fece accapponare la pelle del giovane che,spaventato a morte,corse fuori dalla grotta urlando e correndo come un fulmine verso il padre,un uomo alto e robusto,più di un normale elfo,dagli occhi scuri e con corti capelli biondi,con un pizzico di barba sul mento,anch’esso lì vicino,raccontando di un mostro con un ruggito spaventoso nella grotta. Il padre lo osservò con un cipiglio sulla fronte: non capiva se il figlio stesse parlando sul serio oppure se fosse tutto uno scherzo,ma dopo un attimo osservò che il bambino era veramente spaventato e ,spada in pugno,andò a controllare. Quando nella penombra trovò il bambino non seppe se ridere di gusto per il genere di mostro che aveva spaventato il figlio o essere lui stesso molto preoccupato per il fatto di aver trovato un elfo scuro,seppur neonato,così vicino alla superficie. Di sicuro non ci era arrivato da solo. Repentinamente si guardò attorno,con la spada davanti a sé,temendo si trattasse di una trappola,ma poi capì che se veramente quello fosse stato un tranello,lui sarebbe già morto,e non avrebbe avuto il tempo di concepire tutti quei pensieri. Osservò il bambino per diverso tempo,chiedendosi cosa avrebbe dovuto fare con lui: lo avrebbe dovuto uccidere? Si trattava pur sempre di un elfo scuro,una razza bandita dal mondo di superficie millenni prima per la crudeltà delle sue azioni. Per fortuna del bambino però Folber,il nome dell’elfo che lo aveva trovato,era un tipo di uomo che non sapeva usare solo il braccio,ma anche la mente: una creatura diventa quello che è a causa dell’educazione che lesi impartisce e per le persone che frequenta,e solo quello influisce. Folber prese quindi in braccio il bambino,pur continuando a osservarsi intorno,deciso a portarlo in città e discutere della faccenda con gli altri abitanti. Notò che gli occhi del bambino erano arrossati e in costante lacrimazione e intuì che quella luce,seppur flebile,gli stava dando fastidio. Si tolse quindi il mantello e lo usò per coprire gli occhi del piccolo dai raggi dei Soli quando uscì dalla grotta. Nel frattempo i bambini avevano interrotto i loro giochi,richiamati dal piccolo Recconas a osservare il padre che usciva dopo aver sconfitto i cinque mostri che si trovavano nella grotta e che lui aveva scoperto. Grande fu il cambiamento di Recconas quando il padre mostrò loro cosa nascondeva sotto il mantello. L’orgoglio lasciò immediatamente posto alla vergogna,mentre i suoi amici lo prendevano in giro per il suo coraggio. Recconas era abbattuto,ma il padre lo consolò,agitandogli i capelli con la mano.
“ Non ascoltarli,avrai tantissime altre occasioni per mostrarti coraggioso. Magari un giorno ci sarà veramente un mostro nella grotta e sarai proprio tu a ucciderlo.”
Il bambino si immaginò subito la scena come solo un bambino può fare e la vergogna appena subita fu presto dimenticata.
In città l’argomento fu caldamente discusso per diversi giorni nei quali la cura del piccolo fu affidata a Fala,la moglie di Folber,che non si dimostrò contraria all’idea del marito di tenere il bambino ma che anzi gli si affezionò quasi subito.
C’era chi la pensava come Folber e chi,come in ogni comunità evoluta,no. Taluni infatti pensavano che quel bimbo sarebbe stato la peggiore delle piaghe e che avrebbe corrotto tutti i bambini con il quale avrebbe passato del tempo. Non c’era modo di raggiungere un accordo,così che dovette intervenire la stessa Isbil,la regina degli elfi per porre fine alla questione. Dopo attenta riflessione essa dette ragione alle parole di Folber. Fu così che il bambino,a cui fu dato nome Aramyl,crebbe nella famiglia di Folber,conscio della sua situazione; evitato da alcuni,accettato da altri.
“Il colore di questa pelle non è per me una maledizione,anzi… è il segno che non tutto deve essere ciò che appare,e anche se sarò pregiudicato,vivrò sereno con coloro che veramente mi conoscono.”
Aramyl soleva dire queste parole ogni volta che qualcuno gli chiedeva cosa pensasse della sua razza.
Il cielo,da sereno che era,divenne plumbeo; nubi scure sembrarono inghiottire il Sole che fino a poco prima splendeva come una fiaccola. Non è un buon segno, si disse Aramyl. Lui stesso sembrò sparire all’interno della foresta; i suoi capelli neri come la notte e la sua pelle gli offrivano una mimetizzazione quasi totale accentuata anche dall’abito da caccia che indossava,tanto che Recconas,l’altro elfo,lo avrebbe perso di vista se non fosse stato per gli stivali bianco latte che calzavano.
Il viaggio proseguì senza che una parola fosse proferita e dopo alcuni minuti giunsero agli imponenti cancelli di Gavisal. Aramyl,benché si trovasse lì da molto tempo,non riusciva a non meravigliarsi di fronte al capolavoro dell’architettura elfica: vi erano immense mura di legno che sembravano fondersi con l’ambiente circostante e che delimitavano perfettamente i confini della città,quasi che queste ultime fossero un tutt’uno;le mura erano costantemente presidiate da temibili arcieri; il portale,anch’esso in legno,era finemente e riccamente intarsiato d’oro,con stupendi e sinuosi arabeschi. Le porte vennero aperte per permettere l’entrata ai due cacciatori di ritorno e mentre queste si aprivano Aramyl pensò a un’ostrica che lentamente si schiude per mostrare la bellezza della propria perla. Fu così che gli si presentò la città. Alberi sulle cui sommità erano costruite case in legno;altre,in pietra bianca, poggiavano invece sulla solida terra creando uno stupendo effetto di contrasto con l’ambiente circostante; le strade,lastricate anch’esse di pietra bianca e che disegnavano curve in qualunque direzione si guardassero,erano deserte. Quelle stesse strade che fino a qualche giorno prima erano piene di vita,di gente che andava da un capo all’altro della città,di bambini che giocavano…perfino i negozi erano chiusi.
“Siamo in ritardo,hanno già cominciato. Dobbiamo muoverci.” Disse Recconas in tono pacato guardandosi attorno. Si diressero verso il centro della città passando per una graziosa stradina dove sul balcone di ogni casa vi era un vaso di fiori. Nella piazza in cui giunsero poco dopo,quella principale,presentava nel suo centro una strana struttura: tre tronchi finemente lavorati che si intrecciavano congiungevano sulla sommità formando un arco,e sotto questo arco,racchiuso dal perimetro delle basi degli alberi vi era uno strano liquido trasparente che si agitava,come se quel complesso fosse solo uno strumento per creare bolle di sapone e il liquido al suo interno il sapone stesso. Vi entrarono senza indugio. Subito sentirono una leggere carica elettrica attraversare loro il corpo e un attimo dopo si trovarono in un altro luogo,nel quale era in corso un acceso dibattito. Aramyl rimase leggermente spesato,il teletrasporto non era mai un mezzo piacevole da utilizzare. Spaziò con i suoi occhi bianchi,come quelli di un cieco,l’ambiente circostante: una radura circolare gremita di gente di tutte le età. Al centro vi era un tavolo in pietra e lì intorno vi erano i governanti delle varie città elfiche.
La famosa calma propria degli elfi sembrava essere una cosa inesistente in quel luogo. Tutti erano in piedi,tutti discutevano su qualcosa di cui Aramyl e Recconas erano ancora all’oscuro. Soltanto chiedendo agli altri presenti seppero la cause dell’agitazione del loro popolo che li stava facendo sembrare tante formiche che si muovevano disordinatamente.
“Gli elfi scuri hanno intenzione di invaderci?” esclamò Recconas pieno di stupore,guardandosi istintivamente intorno,come se già si trovassero lì,a godere della loro paura. Ad un tratto Isbil,la regina degli elfi,notato l’arrivo dell’elfo scuro e del suo compagno,richiamò a gran voce il silenzio. Benché la sua voce fosse melodiosa e dolce come quella di una madre che canta una ninna nanna al proprio figli,sortì subito l’effetto voluto. Il rumore si placò immediatamente,tutti rivolsero il loro sguardo verso la regina. Quando ebbe la loro completa attenzione parlò:
“Cari compagni elfici. Come avete saputo poco fa,questi sono tempi duri; i nostri cugini, che secoli fa si rifugiarono nelle grotte per nascondersi dal Sole,hanno intenzione di attaccarci. Vogliono spazzarci via dalla faccia di Asha.”
Prese un momento per riprendere fiato. Tutti gli elfi ricominciarono a mormorare tra loro ma ristabilirono subito il silenzio quando la regina ricominciò a parlare.
“Non dobbiamo però temerli. Le nostre mura sono solide e hanno resistito a moltissimi attacchi,quindi vi chiedo di continuare a seguire il vostro usuale stile di vita.”
Fece un’altra pausa,poi indicò l’elfo scuro,e apparve un abbozzo di sorriso sul suo volto.
“Nel frattempo,Aramyl,partirai a chiedere aiuto a Felerra,la città umana a Nord di qui.”
Aramyl rimase paralizzato dallo stupore e subito dopo sentì il peso delle migliaia di occhi che lo osservavano,gli occhi di tutti i cittadini di Gavisal. Colto alla sprovvista più totale cominciò a balbettare.
“Ma…per…perché io?”
Fu l’unica cosa che riuscì a dire. Quella situazione lo stava mettendo completamente a disagio.
La regina rispose candidamente,senza mai perdere quel suo tono di madre affettuosa.
“Tu conosci meglio di chiunque altro la violenza di cui è capace il tuo popolo,hai vissuto tutto ciò sulla tua pelle e quindi ti sarà più facile argomentare sulla nostra situazione con il re.”
L’animo di Aramyl era un turbinio di emozioni: la gioia per il fatto di essere stato completamente accettato dalla società elfica che lo stava dimostrando proprio affidandogli quell’incarico di fiducia,e la paura di fallire,di non riuscire a convincere il re di supportarli in una possibile battaglia. Di tutto quello che voleva dire soltanto tre parole uscirono dalla sua bocca.
“Sì,mia signora.”
“Ti ringrazio,nobile elfo,per il compito di cui ti fai carico. Partirai domani stesso,ad attenderti avrai un piccolo manipolo di uomini. Saranno la tua scorta e la prova che non sei un normale elfo scuro agli occhi del re.”
Con un raggiante sorriso Isbil dichiarò conclusa l’assemblea. Tutti si alzarono e si complimentarono con Aramyl. Quando non ci fu più nessuno Recconas poggiò una mano sulla spalla dell’elfo scuro.
“Complimenti vivissimi,amico.”
“Mi accompagnerai,Recconas?” chiese di rimando Aramyl.
“Cosa?”
“Mi accompagnerai? È un viaggio che non posso affrontare da solo.”
Recconas sorrise e disse.
“Certo che ti accompagnerò,non posso mica lasciarti prendere per te tutta la gloria.”
Aramyl sorrise e si girò verso l’elfo.
“Grazie,amico mio.”
Recconas strinse gentilmente la spalla di Aramyl come per dargli sostegno e si diresse verso il teletrasporto,mentre Aramyl lo osservava. Se però fosse rimasto ancora un poco avrebbe visto una lacrima scendere sul volto dell’elfo scuro,felice di tutto quello che stava provando.

***


La Biblioteca era situata sul picco più alto delle Grande Catena Montuosa. Era una struttura fatiscente,nessuno aveva idea di quando questo fosse stata edificata. Alcuni credevano addirittura che fosse stata posta lì dagli dei stessi durante la creazione del mondo. Era una costruzione in pietra: il portone,in bronzo ormai ossidato dal tempo,era decorato con arcani ghirigori e da tetri bassorilievi narranti fatti ormai dimenticati da lungo tempo. Le numerose guglie sembravano sfidare la natura stessa cercando di raggiungere il cielo. L’edificio,costituito da trenta piani,di cui dieci sotterranei,all’interno era sorretto da imponenti colonne d’onice,e su ogni colonna vi era una fiaccola,per illuminare l’edificio quando la luce diurna,filtrata dai giganteschi rosoni posti sui quattro lati dell’edificio,veniva meno. Il pavimento,anch’esso in pietra,era ricoperto da un prezioso tappeto di velluto rosso. L’ dentro,sopra un immenso numero di scaffali,vi era custodito l’intero sapere del mondo. Qualunque tomo si cercasse,anche il più antico di tutti o il più arcano contenente gli incantesimi più potenti,si trovava lì. Naturalmente l’accesso era consentita solo ai più temerari e fortunati,causa le numerose insidie che si affrontavano per raggiungerla,e la scalata della montagna era solo la prima e più facile prova.
All’interno,il Bibliotecario,custode del sapere,leggeva rilegava libri e riparava quelli più vecchi. Anche di lui si sapeva ben poco e molte persone dicevano che fosse la manifestazione umana della Biblioteca stessa.
Il Bibliotecario era di corporatura esile. I capelli bianchi e abbondanti su tutta la testa,erano lisci e scendevano a incorniciare un volto pieno di rughe ma i suoi occhi,vispi come quelli di un bambino curioso,scuri come la notte,e le sue mani,agili e affusolate come quelle del più abile tra i ladri,sembravano dire che lui fosse soltanto un fanciullo.
In fondo al salone principale,saliti i gradini,vi era il suo scranno,con davanti il più grande libro che fosse stato mai redatto da qualcuno: il registro di tutti i libri della Biblioteca. Era appunto seduto su quello scranno,intento a sfogliare un libro,in cerca di un qualsiasi dettaglio da riparare,che qualcosa gli fece alzare di scatto la testa;una sensazione forse,che per alcuni interminabili istanti,fece perdere gli occhi del vecchio nel vuoto. All’improvviso si alzò. Si muoveva velocemente,più del normale per un comune vecchio,anche se questi conosceva a memoria l’intera pianta della Biblioteca e l’esatta disposizione e contenuto di ogni libro sugli scaffali. Quindi,anche se era buio e la sala era illuminata solo dalle migliaia di fiaccole poste sulle colonne,in pochi minuti si ritrovò davanti a ciò che andava cercando. Era un libro con rilegatura in cuoio tinto di grigio,presentante strani simboli sulla copertina. Lo aprì e lo lesse.
Il libro sfuggi alla presa del vecchio e cadde a terra,procurando un rumore sordo che ruppe il silenzio della Biblioteca. Il Bibliotecario lo raccolse e lo rimise nel suo luogo,dopodiché,pensoso,si diresse verso la sommità della torre.
Sulle sue labbra,secche e screpolate, vi erano solo delle parole che cominciò a ripetere tra sé e sé
“Quindi,alla fine,il momento è giunto…”

Edited by Xsantralas - 19/8/2010, 21:43
 
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Xsantralas
view post Posted on 1/7/2010, 20:22




Ciao a tutti,questo scherzetto che vi ho scritto è lungo 14 pagine di manoscritto ma rivela un bel po' di cose ^^
Entrano in gioco Zuzu e onda ^^ e torna serpav. se non vi piacciono gli elfi con la barba ditelo che la tolgo di mezzo ^^
chiedo scusa per i molti errori di ortografia che ci saranno ma questa tastiera,mi sto accergendo,è veramente scomoda
Inoltre ho trovato una soluzione alle origini di Aramyl,visto che,senza volerlo,sembra il gemello di Drizzt...
Ma almeno sto scrivendo questa roba per qualcun'altro oltre che per me stesso? XD

enjoy it :)

p.s. Se ci sono incongruenze con il 2°capitoletto (su serpav) correggierò quando torno a casa ;)

Le gallerie si estendevano per centinaia,forse migliaia di chilometri,solo il Bibliotecario lo sapeva, al di sotto di quello che era conosciuto come il Mondo della Luce. lì vi abitavano gli umani,gli elfi e tutte le altre razze che non erano state rinnegate dalla Luce. Il mondo sotterraneo,o Mondo delle Ombre,era invece popolato dalle razze che per la violenza delle loro azioni era stata esiliata,dopo una lunga guerra chiamata "la Guerra dell'Esilio",in luoghi dove la luce dei Tre Piccoli Soli,ognuno rappresenstante il dio patronho di una delle tre razze dominanti del Mondo della Luce,umani elfi e maghi,non sarebbe mai potuta giungere. Il cielo notturno era invece illuminato dalle Tre Grandi Lune: una verde,una rossa e una nera. Ognuna rappresentava il dio delle tre razze sotterranee: non morti,demoni e elfi oscuri. Le Lune si erano avvicinate al pianeta dopo che le loro razze vennero bandite,come se volessero dare forza a queste creature,facendo capire loro che gli dei sarebbero stati sempre loro vicino. Sulla superficie vi erano inoltre numerose tribù di barbari,ma essi non avevano dio; l'unica cosa che per loro contava era la forza bruta e per questo non praticavano magia e si tenevano alla larga dai numerosi scontri tra le razze della Luce e quelle dell'Ombra.
Era proprio nelle gallerie che Serpav si stava muovendo. Stava tornando in città dopo aver sitemato quel povero stolto che si era illuso di poter fuggire. Non vi era la benchè minima traccia di luce in quel luogo,ma per un elfo scuro ciò non era un problema. Nati in quelle gallerie,i loro occhi penetravano le tenebre come un coltello taglia il burro,ma per il fatto che non ci fosse luce in quei luoghi,gli elfi scuri vedevano in scala di grigio.
Lui e il suo gruppo si muovevano come pantere a caccia,come era stato insegnato loro fin da piccoli,e tutti coloro che non ottenevano questa abilità nei primi vent'anni di vita venivano sistematicamente uccisi. La loro società era impostata per trattenere solo il meglio e,provando lo stesso rimorso che si può avere nel bruciare un ciocco di legno secco secco nel camino,scartavano il resto. Mel loro caso questo veniva sempre tradotto con il verbo "uccidere".
Dopo varie svolte,attraversando strettisimi cunicoli, e guadando il Fiume dell0Agonia,il più lungora i fiumi sotterranei,giunsero infine alle porte di Zartses,la più grande,anche se non la più importante,tra le città costruite dagli elfi scuri. Le mura,alte svariati metri erano come quasi ogni cosa in quella città.in marmo nero finemente decorato. Il portale,in pietra,era invece un unico e rozzo blocco di pietra,con enormi spuntoni anch'essi in pietra che sporgevano verso l'esterno. Le costruzioni all'interno,case e negozi ma anche templi,erano invece di marmo bianco. Il marmo era stato lavorato in modo che le case sembrassero essere in continuo movimento; la staticità non era una condizione apprezzata molto dagli elfi scuri,in quanto dicevano che se una persona è immobile,è anche vulnerabile,e lo stesso principio veniva applicato nell'edilizia.
Il portale era aperto e Serpav e gli altri Cacciatori,così erano chiamate le squadre di elfi che uscivano per inseguire i fuggiaschi,entrarono nella città e si diressero verso la Sala del Controllo,il luogo dove veniva amministrata la città,per fare rapporto.
Le scene di vita erano scarse nelle strade delle città elfiche. Tutti in strada si guardavano con sospetto,chiunque avrebbe potuto piantare nella schiena di un altro un pugnale solo per derubarlo;in fondo accadeva spesso. La fiducia non era una loro dote. Di tanto in tanto però si vedevano madri che shciaffeggiavano i propri figli,apparentemente senza motivo,ma solo per il gusto di punirli per la cosa più insulsa. La violenza,quella sì che era una dote degli elfi scuri. Mentre camminavano passarono davanti un edificio che ricordava molto un serpente che avvolgeva le sue spire su un tronco rinsecchito: quella era la Gilda della Magia della città,uno dei suoi fiori all'occhiello,in quanto lì avevano studiato i pià potenti arcimaghi degli elfi scuri. Osservandoloa Serpav sembrò ricordarsi qualcosa e si arrestò.
"Attendetemi qui"
Disse semplicemente al resto del gruppo che si limitò a annuire. Serpav si diresse verso l'edificio e entrando aprì la modesta parta di legno. Tutto l'edificio era inciso di rune magiche,come se l'edificio fosse il risultato di un complesso puzzle del quale le rune erano i tasselli. LA gilda era suddivisa in cinque diversi livelli. I novizi partivano dal primo livello,o cerchio, esercitandosi per ani e anni con gli incantesimi più deboli ma pur sempre efficaci,per poi passare ai piani superiori. All'uiltimo piano,oltre agli incantesimi più potenti e temibili,vi erano anche gli alloggi dell'arcimago della città,chiamato anche Guardiano della Gilda. Egli era il mago più abile della città ma,come tutte le posizioni di potere degli elfi scuri,era un posto precario in quanto gli arcimaghi erano spesso sogge a,come venivano chiamati dagli altri maghi che prendevano successivamente il loro posto,"fortuiti incidenti mortali". L'attuale arcimago però sembrava essere destinato a durare molto più del normale.
Serpav sorpassò la biblioteca del primo cerchio,non degnando di uno sguardo i libri e gli studiosi lì vicino che lo scrutavano da sotto pesanti cappucci di tessuto che,se avessero potuto vedere i colori,avrebbero scoperto essere blu. Non aveva maiapprezzato la magia,e aveva studiato solo quel poco che ogni elfo scuro doveva sapere,ovvero iprimi due livelli. Poi dedicò tutto il suo tempo alla lama e fece una rapida e brillante carriera militando tra i Cacciatori,e dopo qualche "fortuito incidente mortale" arrivò ai vertici della Gilda,che era tra le più importanti della città. Aveva all'attivo oltre trecento recupevi e aveva già evitato diciassette "incidenti." Un record per una razza come quella degli elfi scuri.
Salì le strette e tortuole scale a chioccola che conducevano ai piani superiori e che come un tornado,più si saliva,più era larga la scalinata e i gradini,in marmo nero,erano anch'essi incisi con rune arcane. La salita sembrava non terminare mai ma alla fine raggiunse l'ultimo piano. In quel luogo la bilblioteca era molto più esigua rispetto a quella del primo piano ma anche il numero di maghi lì presenti era più esiguo;giusto tre o quattro. RApidamente si diresse verso gli alloggi dell'arcimago e il bussare sulla porta nascosta da pesanti drappi di un tessuto simile al velluto fu il primo rumore che fu prodotto nell'intera Gilda dall'ingresso di Serpav. Dall'altra parte una voce forte e melliflua rispoe seccata.
"Chi osa interromper i miei studi?"
"Io" fu la semplice risposta di Serpav.
Subit dopo si sentirono scattare diversi lucchetti e serrature e infine la porta si aprì,schiudendo un luogo che agli occhi dei più sarebbe parlso merabiglioso: oggetti magici ovunque;alambicchi e pozioni su un tavolo in disparte,perfettamente in ordine e etichettate;uno scranno e un altro tavolo sul quale erano impilati vari libri,uno dei quali aperto; una finestra che da dietro il tavolo si affacciava sulla città. Quello era il punto più alto della città,e da lì la si poteva osservare nel suo intero. Davanti la finestra vi era un individuo che osservava il panorama. ERa alto quanto Serpav ,e indossava una pesante tunica di semplice tessuto che agli occchi di Serpav appariva grigio chiaro. L'elfo si voltò rivolgendogli un freddo sorriso di accoglienza.
"Ben tornato Serpav. Cosa ti porta qui?" Esordì il mago allargando le mani in segno di accoglienza.
Serpav potè vedere che l'elfo stava indossando delle babbuccie e dei guanti di tessuto pregiato,sul capo aveva un pendente d'ossidiana a forma di luna piena intorno al collo e sul capo aveva un curioso diadema che ricordava una ragnatela e che al centro presentava una pietra preziona. Inoltre anche la veste,che adesso vedeva frontalmente,era più pregiata di quello che appariva,ed era coperta di rune.Serpav dedusse che ogni oggetto che indossava era magico. Serpav sapeva inoltre,anche se non poteva vederle al momento,che le mani dell'elfo erano così ossute che non sembrava che ci fosse altro oltre le ossa e la pelle che le teneva unite.
Il volto dell'arcimago era allungato. I capeli,scuri,erano portati corti e aveva una fronta alta alla cui base si trovavano delle folte sopracciglia nere. Al di sotto,gli occhi,leggermente infossati,di un colore scuro,mentre al centro si trovava un naso aquilino che gli conferiva un tono di severità. La bocca era una sola fessura dalla quale però riuscivano a uscire migliaia di parole in pochissimo tempo. Il mento era a punta,e portava una barba corta,che ricordava molto un prato appena tosato.
"Izimun..." disse semplicemente Serpav,abbozzabdi un inchino.
Izimun era una delle due sole persone che aveva il potere di far fare a Serpav un inchino di riverenza,e di ciò era sempre molto fiero.
Serpav non lo detestava,ma anzi tentava di mostrarsi amichevole e rispettoso nei confronti del mago,nei limiti in cui un elfo scuro può essere amichevole,perchè sapeva bene che un tipo come Izimun è meglio averlo come nemico che come avversario.
"Mi hai disturbato mentre stavo testando un nuovo incantesimo che avevo inventato." Continuò seccato ,indicando una strana poltiglia rossastra sul pavimento accanto alla scrivania. Serpav la osservo chiedendosi,con un pizzico di curiosità,cosa potesse essere.
"Piaciuto il coltellino che ti ho dato? Sono sicuro che lo hai già provato su quel fuggiasco..."
Serpav annuì,estraendolo. L'elsa,finemente lavorata con la magia,aveva la forma di una pantera ruggente.
"Devo ammettere che è veramente un'eccellente arma. Mi sono divertito a usarla,lo ammetto,ma sono venuto qui per riportartela."
E così dicendo gliela porse,ma Izimun fece una smorfia e mosse la mano guantata come per scacciare un insetto.
"Via,via,tienila pure. E' solo un giocattolo...ne ho altre decide di scorta...prova invece questo diadema."
Aprendo una delle numerose teche della stanza,prese una coroncina al cui centro presentava un occhio aperto,e la porse a SErpav. Questi la guardò con diffidenza,passandosela tra le mani come per controllare che non ci fosse nulla di pericoloso in un oggetto apparentemente innocuo.
"Cosa sarebbe?"
chiese,ma Izimun rispose pacatamente.
"Tu provala e scoprilo da te."
Serpav pose il diadema sul capo e subito tutto divenne scuro. Non vedeva più niente. Era forse divenuto cieco? Serpav ruggì.
"Cosa mi hai fatto,mago?"
Sguainò la spada per attaccare ma Izimun non si scompose. Schiocchiò le dita e sul tavolo si accese una candela. Serpav si fermò sorpreso. Era tornato a vedere,ma non nella solita scala di grigi.Adesso vedeva a colori! Osservò di nuovo la tunica del mago e videche era di colore arancio,con qualche intarso verde qua e là e tutto l'abbigliamento era uguale. Notò che sulla testa del mago era apparso un diadema come quello che gli aveva dato. Constatò inoltre che gli occhi di Izimun erano di un blu intenso e i suoi capelli neri. Poi guardò se stesso e scoprì chei ndossava un abbigliamento di colore marrone. Guardò infine intorno a sè e scoprì molti altri colori: viola,giallo,rosso.
Osservando la faccia meravigliata del Cacciatore Izimun sorrise.
"Ti piace,vero? Devo dire che anche io,dopo averlo provato la prima volta,quando l'ho creato,sono rimasto di stucco."
Serpav si ricordò tutto d'un tratto che non era solo e si ricompose. D'accordo essere amichevoli,ma dare al mago la soddisfazione di vederlo in quello stato era troppo. Dopo poco chiese.
"Cos'è?"
Izimun rispose,sorridendo. Gli piaceva molto parlare delle sue creazioni. A volte si definiva più un inventore che un mago.
"Ho ricreato ciò che un essere di superficie vede,o per lo meno dovrebbe vedere."
Mentre stava parlando bussarono alla porta. Con una voce leggermente irritata chiese chi fosse lo scocciatore. Dall'altra parte della porta rispose uno dei maghi novizi,del primo cerchio. Izimun spense la candela e sia lui che Serpav piombarono di nuovo nella più totale oscurità. Poi Izimun invitò il novizio a entrare. Aprì la porta un piccolo e grassoccio elfo sulla quarantina,un ragazzo per i canoni elfici. Era molto intimorito dal tono di voce dell'arcimago e inoltre aveva il fiatone;chiaro segno che aveva fatto le scale tutte d'un fiato. Con un gesto Izimun lo invitò a parlare. Il giovane riprese un po' di fiato,poi cominciò a parlare.
"Arcimago Azoul,giungo adesso dalla Sala del Controllo. E' richiesta la vostra presenza dal Reggente."
Izimun annuì,poi chiese se ci fosse altro.
Il giovane disse di no,poi chiese se poteva ritirarsi e tornare al Primo Livello a studiare.
"Sì,sì,vai pure." disse quasi distrattamente Izimun,ma come il ragazzo si voltò,orgoglioso di aver consegnato il messaggio,l'arcimago si fece più serio e concluse la frase.
"Vai all'inferno."
poi cominciò a gesticolare,come se gstesse dipingendo nell'aria un quadro che solo lui poteva vedere e pronunciò parole che all'orecchio di serpav risultarono sconosciute.
Il novizio fece giusto in tempo a capire che per lui era giunta la fine,prima di sentire come una bolla d'aria che si stava rapidamente espandendo dentro di lui. Un secondo dopo le sue viscere erano sparse per tutto il corridoio e alcuni brandelli del cadavere erano addirittura arrivati sul soffitto. Tutto ciò che rimase fu una poltiglia rossastra,la stessa poltiglia che si travava lì accanto a lui,negli alloggi del mago.
Izimun ruppe il silenzio.
"Non puoi neanche immaginare quanto detenti essere disturbato quando parlo."
Poi osservò Serpav e,indovinando i suoi pensieri,disse.
"No,quello era solo un topo,ma con gli esseri più grandi sembra funzionare meglio,non credi?"
Serpav non rispose alla domanda,quell'incantesimo sembrava troppo malvagio persino per lui. Invece si limitò a chiedere cosa fosse.
"Non è ovvio?"
Rispose allegramente Izimun.
"E' il mio nuovo incantesimo,ma lo sto ancora testando. Come hai potuto vedere da te è ancora imperfetto. E' troppo veloce,la vittima non ha il tempo per soffrire e questo è un vero peccato,no? Questa deve sentire il rumore di ogni suo singolo osso che si spezza,di ogni muscolo che si strappa e,infine,della propria pelle che piano piano si lacera."
fece una breve pausa,per riprendere fiato,poi continuò.
"L'ho chiamato 'Esplosione del Corpo' e ho cominciato a studiarne la sua creazione da un altro incantesimo,la 'Implosione',del Quinto Cerchio."
Izimun sembrò perdersi nei meandri della propria mente pregustando l'immagine di ciò che stava descrivendo.
Serpav era impressionato dal sadismo di quell'essere,ma non lo diede a vedere. Tentò invece di deviare l'argomento verso altre cose,chiedendo distrattamente.
"Cosa stavi dicendo riguardo il diadema,prima che ci interrompessero?"
Izimun sembrò come riaccendersi,felice di riprendere il filo del discorso da dove lo aveva lasciato.
"Oh sì,dicecevo...sì,stava appunto per dirti che non devi mai toglierti il diadema se prima non hai spento tutte le possibili fonti di luce. I nostri occhi non sono abituati neanche alla misera luce di quella candela,non più,figurati a quella forte come quella dei Tre Soli.
Comunque se osservassi anche solo per un istante la luce della candela senza diadema rimarresti accecato per minuti,forse perderesti definitivamente la vista,non so."
Improvvisamente si diede una pacca sulla fronte con la mano,come se avesse scordato qualcosa,poi esclamò.
"Che stupido che sono stato! Avrei dovuto controllare su quel tizio prima di farlo saltare per aria!"
subito dopo sorrise a Serpav,scrollando le spalle. "Ah,non importa,si proverà con il prossimo."
"Beh,adesso alla Sala del Controllo è richiesta la mia presenza dal Reggente"
disse,scimmiottando la voce del giovane cadavere.
"Anche io sono diretto là. DEvo fare rapporto riguardo l'operazione."
Intervenne Serpav,e a sentire ciò Izimun sorrise.
"Benissimo allora. Possiamo fare la strada insieme e nel frattempo ti parlerò delle miei ultime creazioni e scoperte. Serpav detestava molto quel lato del carattere del mago,lui era l'unico elfo scuro loquace in tutta la città,e il cacciatore non capiva come questo fosse possibile. In fondo però sapeva che quella era tutta una maschera come,d'altronde, era una maschera tutto il mondo degli elfi scuri.
Scesero da un piano all'altro rapidamente,giungendo ben presto al pian terreno. I compagni di Serpav,o meglio,i sottoposti,erano ancora lì,in riga,in attesa che il loro capo tornasse. Non era la fedeltà nel loro capitano a renderli così ubbidienti,nè la disciplina. Era soltanto la paura di morire.
Si diressero verso la Sala del Controllo con Izimun che discorreva riguardo i suoi studi e quando giunsero alla meta Izimun emise uno sbuffo. Stava per parlare deii suoi esperimenti per indurre un uomo a confessare facendogli esploidere a uno a uno ogni dito delle mani e dei piedi. Serpav invece ne fu molto lieto,come il resto del gruppo.
La Sala del Controllo era un semplice edificio squadrato con il tetto a spirale tipico della loro architettura. L'entrata era sorvegliata da un paio di guardie minotaure. Quegli esseri metà bovini e metà umani erano,a differenza degli elfi,molto fedeli ai loro padroni e avrebbero dato la vita per loro. Ognuno di questi era alto circa due metri e mezzo e erano completamente ricoperti di pelo; le zampe,bovine,sorreggievano corpi possenti e i due muscolosi arti superiori umani sorreggievano due gigantesche asce. Il cervello,purtroppo,era quello che era e quindi non avevano una grande facoltà di parola,e sapevano emettere soltanto frasi semplici,e con molta lentezza.
Quando videro giungere il gruppo si fecero da parte senza dire una parola,permettendo così a Serpav e a Izimun di poter entrare. Gli altri,di nuovo dovettero aspettare fuori.
L'interno non era niente di che,almeno per i raffinati gusti degli elfi scuri:una sala circolare con le pareti completamente coperta da arazzi e,al centro,una scala che portava al piano superiore. Le scale erano in semplice marmo ma il corrimano era un unico blocco di ossidiana scolpita in modo che rappresentasse le più svariate scene di vittoria degli elfi scuri. Per ogni nuova vittoria,un nuovo bassorilievo si aggiungeva alla base del corrimano. Il pavimento era rivestito da un pesante tappeto e sul soffitto,minacciose,pendevano accuminate stalattiti. Senza troppi indugi salirono la lunga scalinata per travarsi in una sala quasi identica alla precedente,tranne per il fatto che non c'erano altre scale,vi erano due grandi vetrate l'una opposta all'altra e il soffitto era a cupola. Vi era inoltre una sorta di trono,sul lato Est della sala. Lì sedeva il Reggente,ovvero colui che,designato da Ason in persona,la Luna Nera,aveva il compito di amministrare la città. Sul trono vi era seduto un elfo scuro,o meglio un elfa scura. Nessuno conosceva il suo vero nome. Tutto quello che si sapeva di lei era il suo pasato da Comandante Supremo dell'Esercito Oscuro,carica che tutt'ora rivestiva. La sua astuzia e la sua potenza in battaglia le avevano fatto attribuire l'epiteto di Onda Nera,perchè come l'onda del mare travolge e porta via i detriti sul bagnasciuga,così lei travolgeva i nemici con il suo esercito. Nessuno la chiamò più in altro modo e così si perse la conoscenza del suo vero nome. Era una donna bella quanto crudele. Un corpo snello e sinuoso,ma al contempo muscolooso,che racchiudeva un vero guerriero.
Il viso era delicato come una rosa;neanche una cicatrice lo sfigurava. La bocca carnosa;un naso perfetto e due intensi occhi chiari,il tutto incorniciato du lunghissimi capelli scuri e le gambe accavallate,contribuivano solo a accentuarne la bellezza. Indossava un armatura completa di scaglie di drago,con al centro la raffigurazione di una spada grondante veleno: il simbolo di Ason. Al fianco destro le pendeva una spada mentre dal sinistro,cosa inusuale,una mazza ferrata,una tra le armi più temibili e più difficilmente maneggievoli che fossero mai state inventate. Quella era la divisa che il Reggente doveva indossare. Serpav si accorse che nell'aria c'era una strana fraganza.
L'Onda Nera era il miglior Reggente che Zartses avesse mai avuto. Non perchè avesse a cuore la salute dei cittadini,quello non sarebbe mai accaduto,ma perchè era scaltra e sapeva come muoversi,oltre che sul campo di battaglia,anche nella fitta ragnatela della politica. Aveva incrementato il commercio con le altre città e aveva favorito la nascita di nuove attività riducendo le tasse. Era stato un investimento a lungo termine e al quanto rischiosoche però diede i suoi frutti. Gli introiti crebbero enormemente e con tutti quei soldi garantiva uno stipendio regolare all'esercito. Questo aveva fatto in modo che chi non si dedicava al commercio,entrava nell'esercito cittadino e adesso L'Onda comandava uno dei più potenti eserciti tra le città degli elfi scuri. Sia per la qualità e per numero delle truppe,sia per equipaggiamento. Inoltre i soldati,in una certa misura,la amavano. Per lo meno garantiva loro un'entrata fissa.
Stava sorseggiando qualcosa da un calice di pietra,ma quando vide Serpav e Izimun,se lo tolse dalle labbra e lo adagiò su un tavolo vicino. Serpav e Izimun si inchinarono al suo cospetto. Lei era la seconda persona a cui Serpav doveva reverenza e l'unica per quanto riguardava Izimun. L'Onda Nera era un volto di pietra;non sorrise,non diede loro il benvenuto. In fondo,non ne aveva il dovere.
"Alzatevi"
fu invece l'unica parola che disse. Una parola che riecheggiò cupa più e più volte all'interno della sala. Essi ubbidirono,poi Izimun prese la parola.
"Signoa,io ho..."
"Lo so già,Arcimago,è per questo che ti ho fatto convocare."
Lo interruppe la Donna. In effetti il diadema era stata una commissione fattagli dal Reggente qualche settimana prima. Non sapeva a cosa le servisse,ma non era il co di domarnarglielo. Izimun rimase molto sorpreso di ciò mentre Serpav non capiva di cosa si stesse parlando,ma rimase in silenzio;forse l'avrebbe capito dopo.
"Adesso ne dovrai creare a migliaia. Fatti aiutare dagli Arcimaghi delle altre città,devi concludere il lavoro al più presto. Non preoccuparti,ti aiuteranno."
Concluse anticipando la risposta di Izimun.
La voce del Reggente,benchè suadente,era piatta,non trasmetteva alcuna emozione. ERa,in una parola,fredda.
"Posso sapere il perchè di questa curiosa richiesta?"
Azzardò l'Arcimago già presentendo una sfuriata dalla donna. Era intelligente,e si era già fatto un'idea del loro utilizzo ma ne voleva la certezza. Serpav,dal canto suo, ancora non riusciva a capire.
Spiazzando l'Arcimago la Reggente rispose.
"Ho ricevuto ordini da Ason in persona. Vuole che riprendiamo ciò che un tempo era nostro di diritto. Quei diademi..."
A quella parola Serpav,come se fosse stato colpito da un fulmine,comprese tutto d'un tratto di cosa si stavo parlando.
"...serviranno per riprenderci il mondo di superficie!"
L'eco della parola "superficie"nella sala fu tremendo.Per la prima volta da quando era incominciato il discorso,dalla voce della Reggente trapelò un emozione:la rabbia. La rabbia per quello che era successo ere fa,con la Guerra dell'Esilio. Sia Serpav che Izimun poterono inoltre leggere nei suoi occhi una grande determinazione nel raggiungere lo scopo. Poi sembrò ricomporsi,tornando a avere quel volto inespressivo di poco fa,e continuò-
"Ason ha già preso contatti con tutti gli altri Reggenti. Per la seconda volta nella storia gli elfi scuri marceranno sotto un'unico vessillo"
"Mia signora,anche se saremo tutti uniti,non ce la potremo mai fare a sopraffare tutte le razze della superficie!"
Intervenne Serpav,rischiando molto con quella sua affermazione. L'Onda Nera rise di gusto. Una visione stupenda quanto rara. La sua risata,quasi per contrasto con il suo carattere,era argentina e limpida come poteva esserla quella di una fanciulla.
"Mio sciocco Cacciatore. Non siamo l'unica razza che abita il Mondo delle Ombre,no?"
Chiese con ironia. Serpav capì tutto e annuì sorridendo a sua volta.
"Ason ha già preso contatti con la Luna Verde e la Luna Rossa,e si sono dimostrate entrambe entusiaste."
"Un allenaza tra demoni,non morti e elfi scuri..."disse sottovoce Izimun,riflettendo sulla potenza distruttivadi un tale esercito. La sua mente non si era mai spinta fino a quel punto.
"esatto,ma per fare ciò abbiamo bisogno di quei diademi. Tutto chiaro,adesso?"
"Certo,mia Signora."
Annuì Izimun,che sì inchinò aspettando di essere congedato.
L'Onda Nera si prese però altro tempo,e continuò a parlare.
"Cacciatore,visto che ti trovi qui devo dedurre che la preda sia stata uccisa,giusto?"
Serpav,dopo tutte quelle rivelazioni,si era addirittura scordato del motivo per cui si trovava in quel luogo.
"Sì."
Rispose frettolosamente. La reggente annuì soddisfatta.
"Perfetto,allora. Prendi un manipolo di soldati e altrettanti diademi che l'Arcimago ti fornirà. At te spetterà il compito di stringere le alleanze con le altre due razze. Da adesso sei nominato Ambasciatore del Popolo Oscuro. Tutto chiaro?"
Serpav annuì e insieme a Izimun venne congedato.
"I soldati ti attendono all'ingresso,uno per ogni diadema finora creato dall'Arcimago."
Stupiti,Izimun e Serpav se ne andarono.
"Ma come fa a sapere tutto?" Chiese curioso Izimun a Serpav che però non rispose. ERa troppo impegnato a pensare; a pensare a tutto quello che doveva fare per portare a buon fine l'incarico.
Fuori dalla torre,come promesso,vi era un congruo numero di soldati,un centinaio in tutti,tra cavalieri e fanteria,e vi erano addirittura delle Matrone,le sacerdotesse devote a Ason. Erano tutti in fila,disciplinati e pronti a partire,anche se non erano proprio felici di lasciare la città.
Un soldato si avvicinò a SErpav e gli porse le redini di un'enorme lucertola che sembrava docile come un cagnolino.
"Per voi,con gli omaggi dall'Onda Nera." dichiarò lo stalliere.
Quando Serpav si accicinò per prendere le briglie,l'animale ringhiò semmessamente,mostrando due file di rasoi tra le fauci. Serpav non si spaventò,afferrò le redini e salì in groppa all'animale. Questi non sembrò molto felice di avere un carico sulla schiena,ma si limitò a agitare la cosa,senza fare un serio tentativo di disarcionare Serpav che tentava di mettersi a suo agio: non gli erano mai piaciute le lucertole.
Izimun richiamò l'attenzione di Serpav invitandolo a seguirlo,e Serpav fece trasmettere l'ordine di dirigersi verso la Gilda della Magia.
Anche in quel frangente il suono prodotto dagli elfi scuri in marcia fu minimo,era paragonabile al rumore di una foglia agitata dalla brezza marina,ma poi si mossero le bestie,Idra,minotauri e lucertole,e il silenzio si infranse. Serpav,dal canto suo,veniva sballottato in tutte le direzioni dalla sua cavalcatura.Il rumore che si riuscì a produrre fu simile a quello di una frana.
Rapidamente giunsero alla Gilda della Magia,e in poco tempo Izimun salì all'ultimo piano,prese ciò che doveva prendere e tornò al pian terreno.
"Ricorda,fallo mettere soltanto quando sarete in presenza di fonti di luce e ricorda che non va tolto per alcun motivo,pena la vista, Chiaro?"
Ammonì il Custode della Gilda.
"Non sono idiota."
Izimun sorrise,poi consegnò una saccehtta a Serpav.
"E' una sacca magica,contiene tutti i diademi necessari più una mappa per il tuo viaggio. Falli distribuire ai soldati."
Serpav estrasse queindi un diadema per sè e consegnò gli altri al resto dei soldati. Spiegò loro come funzionassero ma questi furono al quanto dubbiosi,e cominciarono a mormorare.
"Silenzio!"
Ruggì Serpav,riportando tra i soldati un silenzio di tanto in tanto interrotto da due delle teste delle Idra che litigavano tra loro.
Infine cominciò la marcia che avrebbe,forse,permesso agli elfi scuri di tornare sulla superficie. Sempre che letrattative vadino a buon fine,si disse Serpav. Aveva riflettuto nel poco tempo che aveva fin'ora avuto,ma aveva perso molto dell'entusiasmo iniziale. Il fatto che gli dei di due razze diverse collaborassero non voleva dire per forza che le razze stesse avrebbero collaborato.
Dalla sacca magica Serpav estrasse la mappa che segnava i limiti dei territori delle diverse razze e,notando che il territorio demoniaco era il più vicino,decise che quella sarebbe stata la loro prima tappa.
Nel frattempo Izimun si era di nuovo ritirato nei sui allggi e si accorse che qualcuno aveva già tolto i resti del ragazzo dal pavimento. Aveva intuito subito a cosa sarebbero serviti i diademi e fortunatamente non aveva buttato il suo tempo facendo ricerche inutili sul Mondo della Luce. Prese il libro che aveva lasciato aperto sul tavolo della sua scrivania quando Serpav era entrato. Era un tomo molto antico e parlava del mondo della superficie,e in quel determinato paragrafo,della Biblioteca e del suo custode. Sia che la guerra si fosse conclusa con la loro più gloriosa vittoria o con la loro più grande dipartita,lui avrebbe comunque raggiunto il suo scopo.
Nel silenzio della Gilda della Magia,una tetra,gelida risata risuonò in tutti e cinque i Livelli.
 
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Xsantralas
view post Posted on 14/7/2010, 21:35




miseriaccia ladra quanto è lungo questo... più lungo di quello di prima di 3-4 pagine,credo XD
tornano thane e vone ^^ forse sto correndo troppo con gli eventi,voi che dite? ^^
mandate pm per consigli/opinioni

enjoy it
(e sperem che nun ce stinn erruri de scritura XD) EDIT: corretti tutti gli errori ^^
Il Primo Sole stava lentamente sorgendo;gli altri due lo avrebbero seguito molto presto,anche se il non morto non avrebbe saputo dire da dove. Ogni giorno sorgevano da un luogo diverso e ogni tentativo di previsione era fin’ora risultato vano. Aveva finito solo un’ora prima di “reclutare” nuove truppe dai cadaveri degli orchi e adesso il suo esercito,nonostante le perdite,era aumentato ulteriormente. I vampiri si erano ritirati al sicuro nelle loro bare semovibili,trainate da lentissimi zombie. Sapeva che,se avesse dovuto affrontare un’altra battaglia,avrebbe dovuto fare a meno di loro. Un’improvvisa brezza si alzò dal nulla,agitano le sue nere vesti e la natura tutta intorno. Da dietro di lui apparve il mago che mesi prima lo aveva salvato e condannato allo stesso tempo: dopo che un mago malvagio aveva ridotto in polvere un Raul Vonemar vivente,un valoroso soldato dell’Impero,un Thanelos in pericolo lo aveva resuscitato affinché lo aiutasse a bloccare un esercito di non morti che lo aveva accerchiato.
“D’accordo che sei morto,ma una puzza come quella che c’era qui la dovevi poter sentire persino tu! Adesso almeno,con un po’ di magia,non c’è più quel fetore di cadavere.”
Esordì. Quando Raul si voltò,notò che il mago stava sorridendo. Indossava le stesse vesti del giorno prima.
Lui era morto,non poteva sentire odori,non poteva sentire il gusto del cibo,non poteva rabbrividire o sudare. Poteva solo vedere da un teschio senza occhi e udire da un teschio senza orecchie;un teschio perennemente avvolto da un pesante cappuccio nero,con rifiniture argentate sui margini.
“Non ce la faccio più. Dobbiamo raggiungere la Biblioteca.”
“Certo,così avremo tutte le informazioni che ci servono.”
Continuò Thanelos,concludendo il pensiero del non morto. Si riferivano a un potente artefatto forgiato dai primi maghi del pianeta: un amuleto capace di ridare la vita ai non morti,ma andato perduto dopo che la città che lo custodiva venne inghiottita dalla terra,apertasi dopo un tremendo terremoto. Nessuno lo trovò e nessuno fu più in grado di riprodurre un incantesimo simile su di un oggetto. Quando Thanelos raccontò a Raul di questo artefatto,il non morto ne fu talmente attratto che si mise in testa di recuperarlo a qualsiasi costo. Thanelos,convinto dalla sua idea,decise che lo avrebbe aiutato nella ricerca gli raccontò tutto quello che,disse,aveva letto nei numerosi tomi di magia di Lipon,la capitale dei maghi. Non era però indicata l’ubicazione della città distrutta e,per saperlo,avrebbero dovuto recarsi alla Biblioteca,la più grande fonte di conoscenza in quel mondo. Da lì cominciò un viaggio pieno di battaglie e incontri.
Thanelos era una persona più cauta di Raul. Se doveva parlare con qualcuno lo studiava prima da cima a fondo,come se gli scrutasse nell’animo. Thanelos soleva ripetere a Raul la frase “ Impara a riconoscere il tuo nemico.” E per le strade delle città faceva vedere a Raul come un oste simpatico e gioviale si tramutasse in assassino e ladro grazie a dettagli minimi sulla persona o nelle sue vicinanze come,in quel caso,una boccetta di veleno posta in mezzo alle altre spezie della cucina che aveva una porta socchiusa che dava sulla strada. Durante le loro passeggiate in città Raul indossava una maschera e dei guanti,per coprire le sue dita scheletriche,e faceva lo stesso con i piedi mettendo delle babbucce. I non morti erano rari in superficie e abitavano nelle poche città da loro costruite qua e là per il continente. Queste erano state erette dopo la Guerra dell’Esilio dai nuovi non morti,ovvero coloro che avevano scambiato le loro vite mortali per poter rimanere sulla terra in eterno. Nessuno scatenò una nuova guerra per scacciarli perché erano comunque relativamente pochi e si tenevano in disparte. Non erano però particolarmente ben visti,e per questo Raul preferiva celare la sua vera identità,lasciando gli eserciti accampati nascosti a giorni di viaggio. Era stato proprio durante una delle sue visite in città che seppe degli orchi e di Okhit-Dal.
Sperava che un giorno avrebbe potuto passeggiare in quelle città come mortale,e forse le sue speranze si sarebbero presto avverate:la Grande Catena Montuosa era vicina,un solo giorno di marcia. Thanelos e Raul potevano già vedere le montagne all’orizzonte,verso Nord,e una volta ai loro piedi sarebbe iniziata la scalata.
“ Uno dei vantaggi un non morto è proprio quello di non avere di questi problemi. E poi di che ti lamenti,non credo che gli zombie siano più profumati di questi qui” Rispose Raul senza muovere la mascella. Normalmente uno scheletro,come era lui,mancante dell’apparato respiratorio,non poteva parlare,ma a quello aveva provveduto un incantesimo dello stesso Thanelos dopo aver resuscitato Raul,che adesso parlava tramite la magia.
Thanelos sorrise,poi esclamò.
“Bei vantaggi! Se dovessi scegliere tra queste due condizioni,beh,sarebbe una scelta ardua,davvero!”
Raul a volte,in circostanze come quello,non lo sopportava,ma sapeva che erano solo battute passeggere, e il più delle volte lasciava correre. Raul si voltò e Thanelos gli si avvicinò,e fece per poggiare una mano sulla spalla del Negromante,ma poi ebbe un attimo di esitazione,ritrasse la mano e infine si mise a braccia incrociate.
“Siamo vicini alla meta.”
Disse a bassa voce Raul che non si era accorto,o per lo meno faceva finta di non essersene accorto,dei movimenti dietro di lui del mago.
“Non fai che ripeterlo da quando abbiamo avvistato quelle montagne. Pensa a altro,Svuota quella zucca che è già vuota di per sé. Guarda che bel bosco. Pensa al bosco.”
Disse tutto d’un fiato il mago.
“Se tu ti trovassi nelle mie condizioni,credi veramente che avresti altri pensieri per la testa?”
Fu la secca risposta del non morto.
Thanelos sbuffò.
“Sei monotono.”
Thanelos era molto cauto nel scegliere le persone con cui parlare,ma una volta aperta bocca poteva parlare ininterrottamente per ore. Tentò quindi di aprire un altro discorso,dopo qualche momento di silenzio da parte dei due.
“Raccontami del tuo uccisore,come ha fatto a ucciderti?”
Raul all’inizio non rispose,né ne aveva l’intenzione,ma poi capì che per togliersi da torno Thanelos,in quel momento in cui voleva rimanere da solo,avrebbe dovuto rispondere alla domanda.
“Accadde durante uno dei miei tanti spostamenti. Probabilmente uccise uno dei miei soldati durante la notte e ne indossò l’armatura. Io,nella mia tenda,ero ancora sveglio,stavo studiando il percorso migliore da seguire per giungere nella città più vicina,avevo bisogno di provviste. Quel tizio arrivò correndo dicendo ai soldati posti a guardia della mia tenda che aveva notizie importanti per me. Io,che udii le sue parole,diedi ordine di lasciarlo entrare,e loro non si accorsero di non conoscerlo,probabilmente a causa della notte. Il mio non era un grande esercito. Tutti si conoscevano tra loro. Io non potevo dire lo stesso e quindi,anche se la mia tende fosse rischiarata dalla luce delle fiaccole,non mi accorsi di nulla. Entrò nella tenda e la sua faccia cambiò improvvisamente espressione: dalla preoccupazione alla gioia,e mi prese per le braccia. Non ci feci molto caso,pensando che era felice di essere arrivato a destinazione sano e salvo. Prima che potessi cominciare a parlare,però,cominciò una strana cantilena e l’ultima cosa che ricordo è il suo sorriso maligno mentre venivo ridotto in polvere. Ignoro quello che sia accaduto dopo,forse è stato ucciso dai miei soldati.”
Thanelos lo ascoltò molto attentamente,annuendo molto spesso come se volesse dare l’impressione che stesse seguendo,e quando Raul finì di parlare,subito ebbe di che dire.
“Vedi? Quante volte te lo devo ripetere? Impara a riconoscere il tuo nemico. Scommetto tutti i miei artefatti che aveva un segno rivelatore,anche fosse solo un anello al dito.”
Prese un attimo di fiato,e dopo fece notare al negromante che,a differenza di lui,non poteva parlare tutto di filato.
“Comunque...dicevo: se avessi la possibilità di incontrarlo di nuovo,che gli faresti?”
“Mi vendicherei in modo da fargli rimpiangere il giorno della sua nascita.”
Fu secco,e scandì’ ogni parola molto lentamente.
“Wow.”
fu la semplice risposta del mago in tono misto allo stupore e allo scetticismo.
“Crudele fino in fondo,eh?”
Si affiancò al non morto e tenendo le braccia incrociate cominciò a guardare in tutte le direzioni. Raul si sorprendeva ogni giorno del cambio di atteggiamento che Thanelos acquisiva in città. Era l’esatto opposto di adesso:riservatezza,discrezione e silenzio. Dopo un po’ che continuava la faccenda Thanelos si stufò.
“Beh,è ora di andare. Raduna le truppe e preparati a cambiare percorso;quello che avevamo scelto è bloccato da altri orchi. A quel punto indicò una zona in lontananza,nel bosco. Raul seguì con lo sguardo e notò delle piccole palazzine in legno perfettamente mimetizzate tra gli alberi. Raul era stupito: era rimasto a contemplare quel luogo per ore e non si era accorto di nulla. Thanelos in pochi minuti aveva evitato a tutti una brutta noia. Il mago si girò e si diresse all’accampamento,mentre Raul rimase a guardare le montagne ancora qualche minuto. Poi seguì Thanelos.
L’accampamento era nettamente diviso in due sezioni: da un lato le tende circolari dell’esercito di Thanelos,di colore giallo e blu alternato a strisce,nelle quali alloggiavano i maghi e i gremlin,e le tettoie che riparavano dalle intemperie un congruo numero di golems,esseri meccanici dalle sembianze umane,e i gargoyles,creature in pietra animate dalla magia. Dall’altra parte invece non vi erano tende,non servivano a chi non subiva gli effetti del tempo. Gli unici ripari erano quelli costruiti per coprire le bare dei vampiri in caso di pioggia. I non morti,non avendo bisogno di riposo,erano sempre rimasti schierati sul campo,come se dovessero combattere in quel momento e aspettavano solo il momento in cui il loro signore avesse detto di marciare. Quel momento arrivò poco dopo. Gli zombie,come cavalli che trainano carrozze,cominciarono a muoversi trainando le pesanti bare,ora in legno,ora in pietra,dei vampiri. Subito dopo si mossero gli scheletri,armati di pericolosissimi archi d’osso,poi fu il turno dei lentissimi lich,potenti stregoni che avevano dato la loro anima in cambio del potere e della vita eterna. Ognuno di loro,una decina,portava un bastone incantato da loro stessi durante la vita,e al loro fianco pendeva un libro:il loro libro degli incantesimi. A chiuderla fila,delle figure evanescenti come il fumo. Erano esseri fatti della stessa sostanza dell’aria,e avevano il potere di rendersi intangibili. Erano gli spettri delle vittime dell’esercito di Raul,legati per sempre alla sua volontà. Dietro veniva poi l’esercito del mago che però non aveva la stessa marzialità di quello non morto. Benché i golems marciassero in file ordinate e i gargoyles volassero in formazione nel cielo,i maghi e i gremlin non si potevano definire altrettanto coordinati. Essendo creature di bassa statura,i gremlin ,esserini completamente bardati da pesanti abiti,dei quali si intravedevano soltanto le orecchie,e che portavano in spalla piccoli cannoncini in bronzo,dovevano mantenere un passo lesto e a volte alcuni di loro si sparpagliavano tra le file dei golems per curiosare,mentre i maghi,con un turbante in testa e un coltellino che pendeva dalle loro vesti esotiche,marciavano in gruppi separati discorrendo tranquillamente. Raul e Thanelos erano alla testa dell’esercito e stavano decidendo che strada seguire per evitare quei fastidiosissimi orchi con i quali solo il giorno prima,avevano avuto un’”amichevole discussione.” Si optò per prendere il sentiero a Ovest,e così fu fatto. Il Primo Sole,che all’inizio della marcia picchiava forte dall’alto del cielo,scaldando con i suoi raggi quel terreno quasi estivo,stava lentamente portando a termine il suo cammino. Il cielo si tinse di rosa e di arancio,le nuvole assunsero una tonalità fucsia,mentre il Secondo Sole,affiancato dal Terzo,scompariva dalla parte opposta rispetto al Primo,dietro le montagne. Il clima si fece più fresco e cominciò a levarsi un piacevole venticello che cominciò a far muovere le foglie degli alberi. Tutta questa armonia luci e suoni venne interrotta dal cupo scricchiolio delle bare dei vampiri,che dopo una lunga giornata di riposo,potevano tornare a poggiare piede sulla terra. Gavir,il luogotenente di Raul,fu lesto a mettersi al fianco del proprio padrone,ma non disse nulla. Raul adesso si sentiva più sicuro:se ci fosse stata una battaglia,i vampiri avrebbero svolto un ruolo non indifferente.. non ci fu però alcuna battaglia,e la marcia si concluse tranquilla con l’arrivo ai piedi della montagna. Le Lune avevano ormai preso il posto dei Soli e la loro luce,mischiata alla naturale oscurità del bosco in cui si erano inoltrati,conferiva al luogo delle tinte innaturali. Raul si accorse che per tutto il tragitto non aveva incontrato un animale,ma non se ne stupì più di tanto. I loro eserciti,soprattutto i golem,producevano un rumore infernale ma si meravigliò che gli orchi non li avessero attaccati. Forse erano troppo lontani per sentirli,o forse il suo esercito,unito a quello di Thanelos,lo rendevano un bersaglio troppo difficile. Finalmente arrivati ai piedi della montagna,Raul tornò a osservarla. Benché fosse Primavera inoltrata,sulla vetta della montagna vi era ancora neve in abbondanza,ma stavolta Raul non stava osservando la montagna in sé,ma un dettaglio preciso,semisepolto dalla neve,che se non fosse stato così preciso,da così lontano sarebbe potuto sembrare una sporgenza della montagna.
“La Biblioteca.”
Sussurrò il negromante che,se avesse potuto,avrebbe pianto dalla gioia. La prima delle tre tappe,forse la più facile,era stata portata a termine.
“Non possiamo portare un esercito là sopra,ci rallenterebbe troppo.” Constatò subito il mago,osservando il sentiero che diveniva sempre più ripido e stretto.
“No,non possiamo portarlo;non tutto,per lo meno.”
Disse Raul dopo un attimo di riflessione . Poi indicò dapprima i gargoyles,poi gli spettri. Thanelos capì cosa intendesse il non morto e concordò con lui.
“Buona idea,non ho la benché minima idea di cosa troveremo lassù.”
Dopo un attimo di silenzio,in cui il negromante pregustava la partenza Thanelos riprese a parlare.
“Ma adesso è notte. Dobbiamo,o per lo meno devo,riposare. Mi dispiace tanto frenarti così,a poca distanza dalla meta,ma sai,io e il mio esercito siamo ancora vivi.” Disse dopo qualche attimo di silenzio. Raul lo guardò torvo ma aveva ragione il mago,e se tutto fosse andato per il meglio anche lui avrebbe potuto,forse,riposare di nuovo.
Mentre Thanelos si congedava facendo rizzare la propria tenda,il negromante parlava con il suo luogotenente.
“Mi stai servendo splendidamente,Gavir,e per questo ho deciso di affidare a te il controllo della situazione,finché non tornerò.” Il vampiro s’inchinò al suo signore. Se fosse stato umano avrebbe provato orgoglio,ma data la sua condizione,non sentì nulla di speciale.
“Grazie,mio signore.”
Fu tutto quello che disse. Raul non ebbe bisogno di ripetere il suo discorso al resto del suo esercito se non ai vampiri,gli unici che godessero di una volontà propria. Fatto che fu anche quello,i vampiri ripresero il loro giro di pattuglia a cui tutte le notti dovevano adempiere. Mentre Raul,rimasto solo,rimase a osservare la Biblioteca,attendendo soltanto che i Soli si sostituissero nuovamente alle Lune.
Fu proprio lì,nello stesso punto in cui l’aveva lasciato,che Thanelos,di nuovo sveglio, lo trovò,a osservare la Biblioteca. Aveva cambiato veste,adesso ne indossava una bianca,e prima che coprisse il petto seminudo con un altro abito,Raul notò alcuni tatuaggi: un piccolo drago stilizzato,un quadrato con quattro cerchi agli spigoli e diversi altri simboli. Raul non credeva che Thanelos avesse dei tatuaggi,non sembrava il tipo,ma poi pensò che potessero essere di natura magica e non chiese neanche conferma.
“Dormito bene?”
Chiese gentilmente al mago panciuto.
“Oh,di sicuro io ho dormito,non bene,ma ho dormito. C’era un fastidioso ronzio d’insetti.” Scandì molto la parola “io” ma questa volta Raul non ci fece neanche caso.
“Tutto il tempo a osservare quell’edificio,scommetto.”
Disse in tono più serio il mago. Il negromante annuì e Thanelos sospirò.
“Vabbè,diamoci una mossa;prima si arriva,prima ti togli questo pensiero e magari poi riacquisti un po’ di buon umore.”
Detto ciò fece rifulgere alla luce del Sole una pietra,un rubino probabilmente,incastonata nell’anello che portava sulla mano destra. Come fosse un segnale i gargoyle,che dopo aver aiutato i vampiri nel pattugliamento la notte precedente erano tornate nei ripari appositamente costruiti per loro,come se fossero state assopite fino a quel momento,si svegliarono e si alzarono in volo,proiettando le loro ombre sul terreno. Erano esseri con corpo e arti umani,ma testa e ali di pipistrello,e si depositarono dolcemente a terra accanto a Thanelos. Raul,dal canto suo,richiamò a sè i suoi spettri che subito accorsero accanto al loro signore. Forse però si trovavano già là,fatto sta che si materializzarono dal nulla. Erano creature composte di fumo,che potevano riprodurre braccia e volti umani. Thanelos si fece quindi consegnare da un mago un sacchetto.
“Provviste.”
Esclamò sorridendo,dando delle pacche alla sacca ora legata alla cinta della sua veste bianca.
“Naturalmente solo per me. So che a te non servono.”
Continuò sempre sorridendo,poi Raul cominciò a incamminarsi. Dal suo fianco sinistro,dopo mesi,era tornata a pendere una vecchia amica,la spada della sua famiglia,con cui era solito uccidere i suoi nemici quando ancora aveva un cuore pulsante in petto. Da quando era tornato alla vita si era promesso che non l’avrebbe più impugnata,per non infangare il nome di suo padre e dei suoi fratelli,morti per salvarlo dal lich che lo minacciava. La notte prima però aveva riflettuto a lungo,e arrivò alla conclusione che anche quel viaggio era,a modo suo,una lotta contro la non morte,e decise di impugnarla di nuovo.
In realtà aveva mentito al mago dicendo di aver passato tutta la notte a osservare la Biblioteca. Quando la notte precedente aveva sfilato dal fodero la spada,che custodiva in uno scrigno vicino la bara di Gavir,si accorse che la lama non era più molto affilata. Il rumore che Thanelos attribuì agli insetti era invece prodotto dallo stesso non morto che rifaceva il filo della propria arma,con una pazienza che solo chi ha a disposizione l’eternità può avere. Finì poco prima che il mago si destasse e il risultato lo soddisfò molto. La sua spada era tornata quella di un tempo.
L’elsa,in semplice metallo era stata incisa anni orsono,e riportava due iniziali:la V della famiglia Vonemar e una S affiancata a una D. Quest’ultime erano le iniziali del nome del suo esercito: Steel Dragons. Furono inizialmente chiamati così perché sulle loro armature presentavano la raffigurazione stilizzata di un drago. In seguito divennero così famosi per la loro maestria e potenzia che bastava che apparissero sul campo di battaglia per mettere in fuga la maggior parte dei nemici,proprio come se fossero draghi che si mostrano a un villaggio di contadini, e coloro che rimanevano a affrontarli venivano sconfitti senza difficoltà. Quella però era un’altra vita. Raul scosse la testa riportando la sua attenzione sul presente. Solo quello e il futuro contano. Il passato è passato,si disse.
Procedeva alla testa della spedizione seguito da Thanelos e dagli spettri,mentre i gargoyles volavano in un cielo limpido come il mare,rischiarato da un lato dal Primo Sole e dall’altro dal Secondo e dal Terzo Sole.
Il resto del loro esercito li osservava salire e più salivano,più Raul poteva vedere il suo divenire piccolo.
Il tempo passava,il gruppo saliva in fretta. La pista sembrava,al momento,meno ardua di quello che Raul e Thanelos si erano prospettati. Ancora più in alto il sentiero però cambiò. Se alla base della montagna era un piacevole sentiero che attraversava un bosco,adesso era nulla più che una piccola sporgenza tra le rocce,dalla quale si godeva però,magra consolazione,di una magnifica vista. Avevano cambiato versante,e di nuovo il giorno stava per lasciare il posto alla notte e ai pericoli a essa legati. Il panorama era completamente cambiato: se da un versante,quello dal quale era cominciata la salita,si poteva ammirare una gigantesca foresta di cui non si potevano vedere i confini,dall’altra parte vi era l’Oceano Infernale. Non era un vero e proprio oceano. Era un immenso lago nel quale centro si trovava un vulcano che scaldava l’acqua ogni oltre limite di sopportazione umano. Raul era troppo in alto per osservarlo,ma sapeva che l’acqua era in perenne semiebollizione.
In questo luogo si concentrato tutti e quattro gli elementi si trovo a constatare,stupito,il non morto.
“Quel maledetto Bibliotecario,non poteva fare un percorso più largo? Riesco a stento a mettere un piede davanti all’altro.”
In effetti entrambi erano radenti alla parete rocciosa,e camminavano lentamente,attenti a non mettere i piedi in fallo. Raul chiese al mago cosa intendesse dire,senza girarsi;non ne aveva lo spazio.
“Oh,andiamo,non mi vorrai dire che non ti sei accorto che la sporgenza è perfettamente liscia,senza irregolarità e che è sempre alla stessa distanza dalla parete?”
In effetti Raul era rimasto troppo affascinato dal panorama per accorgersene,ma ciò non era sfuggito all’occhio attento del mago.
“E chi altri potrebbe aver creato una cosa simile se non lui con la sua magia?” Raul concordò con la teoria dell’amico.
“Dobbiamo muoverci,è quasi buio e tu devi montare la tua tenda,a meno che non voglia dormire qui.”
Scandì chiaramente le parole tu e tua. Per una volta era lui che poteva vantarsi della sua condizione,ma non lo trovò piacevole come aveva creduto quando aveva formulato quel pensiero. Il mago sorrise,poi disse al negromante.
“Oh beh,se la metti così credo che dovrai muoverti per evitare di rimanere qui,al buio.”
Scandì a sua volta il dovrai,poi richiamò a sé tre gargoyle e,afferrato il mago due per le braccia e uno per le gambe,lo alzarono in volo. Questi salutò con la mano Raul che,sbigottito,si era immobilizzato.
“Ci vediamo alla Biblioteca.”
Continuò. Come fece per portarsi più in alto però,i gargoyle sembrarono immobilizzarsi in volo, e fecero giusto in tempo a posare di nuovo Thanelos sul sentiero che esplosero in mille pezzi,ferendolo leggermente al volto,e sia lui che Raul videro dei pezzi di pietra precipitare nell’Oceano Infernale,dopo aver rimbalzato cupamente addosso alla parete della montagna. Thanelos sanguinava dalla guancia sinistra e aveva vari taglietti ma il dolore che poteva provare era sovrastato dalla rabbia e quando fu ferito l’unica cosa che fece fu una smorfia di dolore,ma non disse una parola.
“Sembra che al Bibliotecario non piacciano questi stratagemmi.”
Disse sghignazzando il non morto. Thanelos lo guardò torvo.
“Taci.”
Notando il tono che stava usando il mago,così differente dal suo solito,Raul decise che non era il caso di stuzzicarlo oltre. Il sangue cominciava a colare piuttosto copiosamente,ma Thanelos non ci fece caso e intimò al non morto di allungare il passo. Conclusero la prima parte del percorso senza ulteriori problemi,ritrovandosi in un piccolo spiazzo roccioso circondato dagli alberi e con un piccolo fiumiciattolo che scorreva placidamente. Il vento,freddo a quelle altitudini,agitava le foglie degli alberi producendo una sorta di naturale melodia. “Sembra fatto a posta per rizzare una tenda.”
Constatò Raul,e Thanelos,che aveva riacquistato un po’ del buonumore perso e la cui ferita si era già chiusa grazie alla bassa temperatura del luogo lasciando un grumo di sangue rappreso sulla pelle,concordò con lui.
“E questo non mi piace.”
Concluse. Non avrebbe voluto montare la sua tenda lì ma il cielo,ormai buio,era coperto da nubi così fitte che arrivava solo un poco della loro luce. Di lì a poco sarebbe venuto a piovere e lui non aveva alcuna intenzione di bagnarsi. Quindi rassegnatosi rizzò la sua tenda nella radura,cosa fortunatamente richiese poco tempo e poi creò un riparo magico per i gargoyles. Raul,dal canto suo,osservava ora Thanelos,ora la zona circostante. Non vedeva alcun passaggio per il quale proseguire e si domandava cosa avrebbero fatto il giorno successivo e se avessero preso la strada giusta. Le parole di Thanelos fecero riportare su di lui la propria attenzione.
“Bene bene,sembra che abbia finito appena in tempo. “
Disse osservando il cielo che si era completamente ricoperto di nubi. Come se fosse una risposta elle sue parole,il cielo tuonò,e i contorni delle nuvole si illuminarono per qualche istante,prima di spegnersi,per poi tornare a accendersi di nuovo qualche istante dopo. Di lì a poco avrebbe cominciato a piovere pesante. Poi il mago osservò il non morto.
“Tu rimani fuori no? Mi sono accorto che ti piace particolarmente farlo,ma se vuoi un riparo dalla pioggia,beh...il riparo dei gargoyles sarò perfetto per te.”
Mentre parlava Thanelos gesticolava moltissimo e non riuscì a trattenere un sorriso quando parlò dei gargoyles. Raul non aveva problemi e annuì come se non avesse sentito l’ultima parte del discorso. Thanelos,da dentro la tenda gli disse.
“Spero proprio che riacquisterai il tuo senso dell’umorismo,una volta tornato umano.”
Raul non rispose. Una goccia di pioggia gli cadde sul bordo della cavità orbitale sinistra,cosa che ricordò oltremodo una lacrima. Poi un’altra,e un’altra ancora,sempre più veloce. Il rumore delle gocce di pioggia che cadevano nel fiumiciattolo;quelle che picchiavano sul terreno,sulle foglie degli alberi e sulla tenda stessi di Thanelos, unito da quello prodotto dal vento che passava tra i rami degli alberi,e a quello dei tuoni che rombavano potenti e a quello dei fulmini che squarciavano il cielo con la loro luce, contribuiva a creare una meravigliosa orchestra di cui la Natura stessa era la direttrice e Raul un silente ascoltatore. E lì,da sotto il riparo magico dei gargoyles,insieme a essi, rimase in ascolto,crogiolandosi in quella meravigliosa sinfonia per moltissimo tempo,forse più di due ore.
Qualcosa però,d’un tratto,ruppe la magia di quell’armonia di suoni,qualcosa che ricordava il suono di ossa spezzate,e Raul si accorse che non erano ossa quelle che si stavano spezzando,ma alcuni degli alberi della foresta intorno. Osservò il tutto con un misto di curiosità e timore,mentre osservava che alberi sempre più vicini alla radura in cui lui e Thanelos si trovavano si stavano spezzando,finché anche l’ultimo albero non fu abbattuto. In quell’esatto momento un fulmine illuminò l’ambiente circostante ,e benché l’attimo di luce fu molto breve,bastò a Raul per osservare quella creatura che era uscita dal bosco nei minimi particolari. Erano quattro essere,ognuno uscito fuori da un lato diverso della radura,probabilmente per accerchiarli. Erano alti circa quattro metri,costatò a occhio e croce Raul,e ognuno di essi era ricoperto da una folta pelliccia scura; gli artigli delle zampe anteriori di questi esseri erano lunghi quanto lui e leggermente ricurvi,e il non morto non ebbe difficoltà a immaginarne la potenza;il muso,bestiale,ricordava un qualcosa come un cinghiale incrociato a un castoro,con una lunga mascella sporgente dalla quale sporgevano aguzzi denti lunghi quanto una mano. Raul non conosceva quelle creature,ma al momento non gliene importava un granché. estrasse immediatamente la spada,e nello sguainarla questa produsse un suono minaccioso,come se avesse avvertito il pericolo e tentasse di spaventare i suoi nemici. Raul provò una strana sensazione nello stringere di nuovo quell’elsa famigliare tra le sue mani scheletriche,un misto di amarezza e gioia. Un altro fulmine illuminò le bestie ancora una volta e la spada,che scintillò alla sua luce. Raul notò come quelle creature fossero curvate con la schiena mentre si muovevano,quasi fossero dei vecchi gobbi. Subito dopo Raul gridò a Thanelos di venire fuori. Questi uscì poco dopo,allarmato dal tono del negromante e dal frastuono appena provocato dalle bestie. Vestiva una sorta di calzamaglia di lana e delle babbucce,e in testa aveva un cappellino da notte.
“Cosa diamine stai facendo? Tutto quel frastuono mi...Ah” le parole gli morirono in bocca e tutto ciò che ne uscì dopo fu solo un’esclamazione di stupore. Rimase paralizzato per un attimo,poi riprese a parlare.
“Behemots! Curioso trovarli a questa altitudine.”
Commentò poi,ripresosi dalla sorpresa iniziale. Poi osservò Raul,e alzando un indice paffuto e sorridendogli gli disse.
“Perdonami un attimo.”
Poi scomparve di nuovo nella sua tenda. Raul sentì un gran trambusto all’interno,e lanciò un’occhiata fugace alla tenda; non voleva perdere il contatto visivo con i behemots. Pochi istanti dopo il mago riemerse dalla tenda,vestendo gli stessi abiti con il quale era partito, e inoltre stringendo un nodoso bastone di legno runico che terminava con una punta metallica su entrambe le estremità.
“Ecco,adesso va meglio. Disse soddisfatto,battendo deciso il bastone a terra,sprigionando delle scintille che si diffusero tutti intorno,in tutte le direzioni,come se fossero animali in fuga. I gargoyles subito si alzarono in volo per attaccare gli intrusi,attacco che fu accompagnato anche dagli spettri e dallo stesso Raul che,spada tratta,si gettò contro le zampe del behemot sull’estrema destra. La bestia reagì agitando le braccia per scacciare quelle creature in pietra fastidiose come zanzare,non accorgendosi neanche,probabilmente a causa del buio,della presenza degli spettri. I gargoyles,a causa del loro peso e della loro natura,non erano creature agili,i il loro numero fu rapidamente ridotto alla metà. Thanelos nel frattempo non rimase con le mani in mano. Notò che anche gli altre tre behemots cominciavano a dirigersi verso Raul per supportare il loro compagno. Alzò il bastone verso il cielo,puntando l’estremità verso le nuvole. Poco dopo un fulmine si sprigionò dalla nuvola che il mago stava indicando e andò a colpire la punta di metallo del bastone. Thanelos ebbe un sussulto e fece una smorfia per resistere al contraccolpo. Rimase in piedi nonostante la violenza dell’urto,anche se con una certa fatica. Il fulmine era andato a colpire la punta di metallo del bastone,e poi si era insinuato nel suo interno. Thanelos sorrise,osservando gli ignari behemots continuare a dirigersi verso Raul. Il bastone riluceva di una luce bluastra che sembrava agitarsi al suo interno. Il mago girò il bastone,poi si sdraiò a terra: il rinculo sarebbe stato minore. Puntò il bastone verso la bestia più vicina a Raul,poi rilasciò il potere incanalato nel bastone. Un fulmine si sprigionò dalla punta del bastone,che si impennò verso l’alto,e andò a colpire il behemot dritto nel petto. Questi venne sbalzato all’indietro di qualche passo,ma non cadde. Il pelo però,seppur bagnato dalla pesante pioggia,prese fuoco e rapidamente avviluppò la bestia che,in preda al panico,cominciò a ruggire e a dimenarsi,nell’inutile tentativo di spegnere quella torcia vivente che era divenuta. Gli altri due behemots si arrestarono per un attimo. Entrambi poi si diressero verso il mago. Thanelos rimase soddisfatto e rimase a osservare il behemot finchè questo non si accasciò carbonizzato al suolo. Le sue zanne e i suoi artigli,bianchi come latte creavano un forte contrasto con il nero pece del resto del corpo. Nell’aria cominciò a innalzarsi un leggero odore di zolfo misto a carne bruciata. L’espressione di Thanelos cambiò ben presto dalla contentezza allo stupore. Solo in quel momento si accorse che gli altri due behemots si stavano dirigendo su di lui.
“Oh oh”
Fu l’unica cosa che disse prima di alzarsi e cominciare a corre. Se Raul avesse avuto il tempo per osservare la scena,in un altro frangente. probabilmente avrebbe riso. Il fisico tondeggiante del mago non era atto alla corsa e vederlo inseguito di notte da due creature gigantesche doveva essere una scena alquanto comica. Raul aveva invece ben altro a cui pensare. Eliminati i gargoyles infatti,il behemot tentata in tutti i modi di colpire gli spettri,ora conscio della loro presenza, e lo stesso Raul. Quest’ultimo stava avendo molti problemi con quella creatura:il folto pelo che attutiva i colpi;il suo braccio che non era più forte come un tempo;tutto andava a discapito dei danni inflitti alla bestia. Raul stava girando intorno alla bestia,nella speranza di trovare un punto debole,quando inciampò sui resti dell’ala di un gargoyle. Mai pietra fu più provvidenziale,in quanto la sua caduta gli permise di evitare una zampata che lo avrebbe tranciato in due. Raul capì che continuando con dei fendenti non avrebbe risolto nulla. Rapidamente si rialzò per poi correre sotto le zampe posteriori della creatura e,tenendo la spada come se fosse una lancia,la conficcò nella zampa sinistra del behemot. Il suo obiettivo era recidere il tendine che sorreggeva la bestia. L’attacco trovò la netta opposizione della pelliccia della gamba,ma questa volta l’attacco andò a segno,superando la barriera e raggiungendo la tenera carne. La spada si conficcò nella caviglia della bestia,che ruggì dal dolore e cominciò a dimenarsi. Raul perse la presa sulla spada e capì che non avrebbe reciso alcun tendine. Imprecò contro la sua sfortuna,e fu lesto a schivare un’altra zampata del behemot. Il non morto ordinò allora agli spettri di distrarre la bestia,e questi ubbidirono. Il behemot continuava ad agitarsi,riuscendo a colpire alcuni degli spettri nei momenti in cui si dovevano per forza rendersi tangibili,ovvero nei momenti che precedevano gli attacchi. Il negromante si disse che grazie agli dei quella creatura era troppo stupida per capirlo. Gli spettri riuscirono a distrarre la bestia il tempo necessario a Raul per utilizzare un incantesimo. Quando era umano non era solito usarne,preferiva la consapevolezza della potenza del suo braccio a un’instabile magia,ma quando,da non morto,sotto gli insegnamenti di Thanelos,cominciò a studiarla,dovette riconoscerne l’utilità. A differenza degli altri incantatori,proprio perché i non morti usualmente non potevano parlare,non avevano bisogno di pronunciare parole magiche.
Il terreno cominciò a tremare,poi cominciò a spaccarsi in diversi punti formando dei buchi. Da quei buchi spuntarono quindi dei grandi tentacoli scuri,come se ci fosse stato un polpo assopito sotto il terreno e che Raul,con le sue parole,l’avesse ridestato. Questi rapidamente si avvilupparono alle zampe del behemot,come l’edera si avvolge agli alberi su cui cresce,e quando la creatura tentò di muoversi per liberarsi,i tentacoli,saldati chissà dove,lo trattennero in quel punto. Il peso era però ormai sbilanciato in avanti e la forza di gravità fece il resto. La caduta produsse un suono che sarebbe stato potuto benissimo essere scambiato per quello dell’abbattimento di un albero. Come la creatura fu a terra,nuovi tentacoli crebbero dal terreno avvolgendosi per tutto il corpo e per le zampe anteriori. Raul sapeva che presto la creatura avrebbe infranto l’incantesimo e che quindi si sarebbe dovuto sbrigare. Rimasto a una distanza di sicurezza per tutta l’azione dell’incantesimo,gettò un’occhiata rapida per osservare cosa stesse avvenendo alle sue spalle. Quello che vide non gli piacque: Thanelos in difficoltà.
Era un motivo in più per sbrigarsi ad uccidere quello intrappolato per andare poi a aiutarlo. Corse su quello che oramai,a causa della pioggia,era diventato un pantano,in direzione del behemot. Poteva sentire il rumore delle sue ossa che staccavano dal fango,ma non poteva sentirne la freddezza o quanto il piede andasse a fondo. Arrivò presto sulla creatura imprigionata che cominciava già a lacerare i primi tentacoli. L’estrazione della spada dalla sua zampa,poi,lo fece infuriare ancora di più,mettendo a dura prova la resistenza dei tentacoli,che tentavano di rimanere avvinghiatigli. La lama era intrisa del sangue del behemot ma questa fu presto lavata dalla pioggia,tornando rapidamente a scintillare alla luce dei fulmini. Raul si portò davanti al muso del behemot e ne osservò gli occhi,rosso sangue,grandi come pugni. Alla sua vista la bestia tornò a ruggire,più forte di prima. Le vesti del non morto,benché appesantite dall’acqua,vennero sollevate dall’aria alzata dal behemot e il cappuccio gli calò dalla testa,rivelando un teschio perfettamente lucido,con le saldature delle ossa del cranio ben visibili e una dentatura perfetta. Raul strinse la spada, e lesse negli occhi della bestia che questa aveva capito cosa stesse per accadere. La spada le trafisse l’occhio facendo uscire fiotti di sangue che,in terra,si diluirono rapidamente con l’acqua della pioggia che andò a tingere di rosse le acque del fiumiciattolo che aveva straripato. Raul non voleva far soffrire il behemot e per questo spinse la lama più a fondo,sperando che questa fosse abbastanza lunga da raggiungere il cervello. Così gli sembrò,in quanto,dopo aver piantato la spada nel bulbo fino all’elsa, l’animale,che prima ruggiva e si dimenava furioso dal dolore,si arrestò di colpo. Raul fu grato al fatto che gli fosse rimasta ancora la pietà. I tentacoli allentarono gradualmente la presa sul cadavere,poi rientrarono silenziosi nel terreno,e se non fosse stato per i buchi nel suolo,si sarebbe potuto pensare che non ci fossero mai stati. Il non morto si sforzò per estrarre la spada,e quando ci riuscì,dalla pupilla infranta uscirono fiotti di sangue che quasi lo investirono in pieno ma che,innocui,si riversarono a terra. Il negromante constatò che la spada aveva qualcosa di viscoso sulla lama,ma non era tentato di scoprirne l’origine. Lui e i suoi spettri caricarono gli altri due behemots,e distolsero le attenzioni dal mago di uno di loro. Thanelos cominciava a sudare dalla fatica:correre era una cosa che non gli era mai piaciuta,cosa che la pancia tondeggiante lasciava intendere subito a chiunque lo osservasse. Era perciò molto stanco,ma non poteva fermarsi a riposare senza mettere a repentaglio la sua vita. L’occasione giunse quando il non morto venne a aiutarlo. Finalmente,senza l’attenzione del behemot più vicino,poteva lasciare un incantesimo. Congiunse i palmi delle mani tenendo le dita,ben stese,l’una attaccata all’altra e alla propria gemella,formando con gli avambracci un angolo piatto,tenendo le spalle larghe. La posa ricordava molto quella di un monaco in preghiera. Non perdendo un istante il contatto visivo con la bestia cominciò a formulare l’incantesimo,e più parlava,più abbassava le dita,avendo cura di tenere le punte ben unite,finché la sagoma formata dalle dita e dai palmi non formò quella di un rombo. Il mago cominciò a sentire caldo,un caldo strano,magico,che proveniva dall’interno del rombo. Un minuscolo puntino rosso si formò all’interno della figura geometrica,e più Thanelos aumentava il tono della cantilena,più il puntino si ingrandiva,andando,infine,quando Thanelos smise di cantilenare,un globo di fiamme. Era un piccola sfera che ricopriva tutto lo spazio all’interno delle sue mani. All’improvviso distese le braccia. Quella che all’inizio aveva le dimensioni poco maggiori di quelle di una biglia, ricominciò a ingrandirsi,raggiungendo questa volta quelle più considerevoli di una palla di cannone. Thanelos non aveva paura di sbagliare mira,il behemot era troppo grosso. Dapprima fluttuando lentamente e poi aumentando la velocità man mano che si ingrandiva,la palla di fuoco,avvolta dal vapore prodotto dal contatto dell’acqua con il fuoco,che produceva uno strano sfrigolio,si diresse verso la creatura asciugando,per un momento,il terreno sulla quale passava. Il behemot non resse all’impatto e cadde a terra e,anche se fu colpito da un incantesimo diverso rispetto al primo,anche lui morì carbonizzato. L’ultimo behemot rimasto solo,fu abbattuto senza problemi dagli attacchi combinati del mago,del non morto e degli unici cinque spettri rimasti.
“Il Bibliotecario fa le cose in grande,non c’è che dire.” Notò Thanelos quando anche l’ultimo behemot giaceva privo di vita a terra.
“Credi che anche questa fosse una prova della Biblioteca?”
“Credo proprio di sì. Te ne sei accorto pure tu che quando siamo arrivati qui sembrava un vicolo cieco. Beh,adesso abbiamo quattro distinti sentieri.”
Disse indicando con l’indice le quattro vie aperte dai behemots. Raul era stupito ancora una volta dalla capacità di ragionamento di quell’uomo in situazioni di pericolo.
“E quindi adesso dobbiamo andare a caso nella speranza di imboccare quello giusto?”
Chiese Raul,guardandosi attorno. Stava ancora piovendo e i fulmini rischiararono la cupa visione del campo di battaglia. Pezzi di pietra,i resti dei gargoyles,erano sparsi ovunque,alcuni dei quali semisepolti dal fango; più in là i due behemots carbonizzati,uno dei quali,quello colpito dal fulmine,presentava un buco in petto. L’aria era intrisa del puzzo di carne bruciata e di zolfo,causato quest’ultimo dalla combustione dei peli,ma solo Thanelos poteva sentirlo. Il mago rispose negativamente al negromante.
“Fortunatamente mentre mi divertivo a correre ho notato che nel sentiero alle...ehm...spalle? sì credo si possano chiamare spalle... Comunque dicevo che in quel sentiero ho intravisto nelle orme del behemot,qualcosa simile al ghiaccio,e come ben sai se si bagna,la neve diventa qualcosa di molto simile al ghiaccio,come in questo caso a causa della pioggia.
“E la Biblioteca si trova sulla neve.”
Concluse Raul comprendendo quello che intendesse dire Thanelos. Questi annuì,confermando quello che aveva detto il non morto.
“Probabilmente il behemot di quel sentiero proveniva dalla cima e il bibliotecario ha fatto arrivare gli altri tre dai dintorni.” Ci fu un attimo di silenzio nel quale entrambi portarono lo sguardo sul sentiero in questione,poi il mago aggiunse.
“Beh,adesso è tardi,devo riposare. A domani.”
Dicendo questo si ritirò nella sua tenda che,miracolosamente,non era stata minimamente toccata dalla battaglia. Raul constatò che la notte era ancora lunga,e avrebbe dovuto pazientare ancora diverse ore. Thanelos si era di nuovo rivelato decisivo e non voleva perdere l’aiuto del suo cervello a causa della sua impazienza.


Edited by Xsantralas - 1/9/2010, 02:12
 
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