ecco qua,finito il prologo ^^ ho riunito tutto in un unico post per facilitare la lettura...se un moderatore mi facesse il favore di mettere questo come importante e cancellare/bloccare quello a pezzi se narei grato. Negli ultimi due racconti appaiono Aramyl e Osrecnac (Recconas è un banale anagramma) e poi io come bibliotecario
(ruolo marginale,ma non troppo,visto che nel frattempo sono diventato pure warlord
)
E ora si va a incominciare,buona lettura ^^
STEEL DRAGONS STORY
La battaglia infuriava violentemente e benché si stesse protraendo da circa quattro ore,il furore e il vigore degli attaccati non accennava a diminuire,forse anche perché non avrebbe potuto né aumentare né diminuire; i non morti non provano fatica.
Non si poteva dire lo stesso degli attaccanti. Un manipolo di orchi aveva infatti attaccato e saccheggiato Okhit-Dal,un piccolo villaggio che si trovava sulla costa del Mare Arcobaleno.
Quando Raul Vonemar,il generale di un esercito di non morti che vagava su quelle terre,seppe della notizia non esitò a partire.
Mandò i suoi migliori esploratori in cerca di tracce che li aiutassero a individuare la direzione presa dagli orchi dopo la razzia. Un manipolo di dieci vampiri ubbidì all’ordine e cominciarono a avviarsi,sparendo nella foresta davanti loro come fantasmi. Dopo breve i vampiri che erano partiti tornarono,riferendo scherzando a Raul che un mago avrebbe lasciato tracce meno evidenti se avesse lanciato palle di fuoco sugli alberi.
Sorridendo Raul si girò verso un'altra persona,l’unico vivo del campo. Era vestito elegantemente,con lunghe vesti di seta dorate che ricadevano poco al di sopra delle caviglie, producendo una leggera gobba sul ventre. Calzava delle stravaganti babbucce anch’esse dorate e in testa portava un curioso turbante bianco,con un grande rubino al centro che quando era giorno la luce del sole faceva brillare in modo abbagliante.
Non colse le parole del vampiro e quindi non capì perché il suo amico Vonemar lo stesse osservando divertito.
Fu proprio il mago a riportare in vita il negromante,mesi prima,in un disperato atto per salvarsi dalle orde di non morti che lo avevano oramai accerchiato.
Prima di quel giorno infatti Raul era ancora una persona viva,in grado di respirare,e di nutrirsi,ma adesso era soltanto un corpo senziente.
Grazie a Raul quel giorno Thanelos,questo era il nome del mago,ebbe salva la vita. Il negromante ebbe in fatti il potere di controllare quei non morti e in breve tempo affinò le sue tecniche,diventando molto abile in un arte che per tutta la durata della sua vita aveva aborrito.
Infatti tutta la sua famiglia,composta da cinque fratelli più il padre,da generazioni combattevano i non morti che infestavano il continente,finché un giorno il padre e uno dei fratelli perirono per proteggerlo per aiutarlo ad adempiere al compito di uccidere un signore dei Lich,che minacciava chiunque fosse vivo.
In una battaglia di poco conto però Raul perse la vita. Un potente mago nemico era riuscito a coglierlo in un momento di distrazione.
Guidati dai vampiri esploratori Raul e il suo esercito,centinaia tra zombie e scheletri e qualche decina tra lich e vampiri,raggiunsero presto il luogo dove gli orchi stavano bivaccando. Era un grande spiazzo spoglio sia di alberi che di erba e,seduti su grandi massi,alcuni ogre stavano brindando con dei teschi umani,usati come calici,contenenti uno strano liquido verdognolo,mentre diversi gruppi di goblin stavano accatastando legna da ardere.
A quanto pare si sentono al sicuro penso Raul,e questo lo divertiva. Non sarebbe stato uno scontro impegnativo.
Rapidamente diede ordini alle sue truppe di schierarsi in modo tale da tagliare ogni via di fuga a quel piccolo manipolo di razziatori.
“Gavir,fai disporre arcieri e lich su questo lato,pronti a sparare al mio segnale,non appena tu e gli altri vampiri abbiate raggiunto il lato opposto. Gli orchi non sono mai stati intelligenti e appena li colpiremo a distanza non esiteranno a scappare,fuggendo nella direzione opposta. Lì voi li attenderete pronti a fare una carneficina. Gli zombie portali ai lati Est e Ovest,per intercettare i restanti fuggitivi. Tutto d’accordo?”
Il vampiro annuì semplicemente agli ordini del suo signore e così fece.
Silenziosi come ombre i vampiri si portarono in pochi istanti dalla parte pattuita con Raul,e dopo non dovettero far altro che aspettare,spade in mano.
Mentre gli orchi parlavano tra loro nella loro lingua gutturale un piccolo goblin si avvide del pericolo quando era comunque sia troppo tardi. Al limitare della foresta,in mezzo a tutto il verde degli alberi i suoi occhi videro un puntino rosso,crescere sempre più,fino a diventare una sfera grande circa come un ogre. La curiosità iniziale divenne orrore quando si avvide di che materiale era fatto il globo: fiamme vive,pulsanti,che avviluppavano la sfera per tutta la sua grandezza,e il goblin vide quest’ultima divenire sempre più grande,sempre più vicina,sempre più calda.
A quel punto anche gli altri ogre notarono la sfera. I veterani compresero subito la natura del globo e cominciarono a fuggire,senza neanche avvisare i loro compagni,correndo dritti in bocca ai vampiri,come previsto.
La maggior parte di quel gruppo però non avevano mai visto una magia simile e capirono di essere condannati troppo tardi.
La deflagrazione fu assordante; le urla di agonia degli orchi sopravvissuti vennero spente dalle innumerevoli frecce scoccate dagli scheletri subito dopo l’incantesimo attuato da Thanelos.
Anche gli orchi che erano fuggiti vennero portati al silenzio dagli efficienti vampiri.
In poco tempo tutti si riunirono là dove era esplosa la palla di fuoco,con Raul che attendeva un rapporto di Gavir sui fuggitivi.
“Ancora una volta mi devo congratulare per la tua bravura nelle arti magiche,Thanelos”
Il mago rispose al complimento con un semplice sorriso,mentre vide che sopraggiungeva il drappello di vampiri.
“Non un solo orco è riuscito a fuggire,sono tutti morti,pronti per essere…”
Gavir non riuscì a concludere la frase che un’ascia gli si piantò dritta nella spalla. Se avesse potuto provare dolore avrebbe urlato. Ma la sua reazione fu una occhiata furiosa laddove era stata scagliata l’ascia,ma non vide nulla. La estrasse dalla spalla con un urlo più di rabbia che di dolore,deciso a porre fine alla vita di quello stupido orco.
Raul però pose repentinamente un braccio sul petto del suo luogotenente,intimandogli di non farlo.
“Questi orchi sono più furbi di quello che mi aspettassi” fu il suo unico commento.
Raul senza dare neanche una spiegazione cominciò a dare ordini al suo esercito.
“Scheletri,in fretta,mettevi al centro della radura. Gli zombie si dispongano accanto agli scheletri e i Lich accanto agli zombie. Voi vampiri invece pronti all’ingaggio corpo a corpo su quel lato.
Thanelos,amico mio,unisciti nel gruppo degli scheletri,sarai più protetto,e sbrigati a alzare un muro di vento che ci protegga dai colpi dell’esercito.”
Il mago annuì,capendo che non c’era tempo per le domande,quando un’altra ascia sibilò vicino a lui.”
Il vero combattimento sarebbe cominciato di lì a poco.
Quel gruppo di orchi era stata soltanto un esca per portare in quel punto l’esercito che dava la caccia agli orchi,e Raul ci era cascato in pieno. Ora la situazione era critica.
Dagli alberi sbucarono lupi dal manto nero come la notte,sul cui dorso si trovavano goblin impugnanti delle spade apparentemente molto affilate. Decine di lanciatori di asce che fino a poco tempo prima si erano mimetizzati completamente con la vegetazione circostante,uscirono allo scoperto,rivelando sulle loro robuste spalle delle asce uguali a quelle che avevano colpito Gavir poco prima.
Dal cielo un acuto stridio spinse Raul e Thanelos a guardare verso l’alto,ma quello che videro non fu affatto piacevole. Decine di giganteschi uccelli simili a aquile volteggiavano in tondo sul campo di battaglia.
“Ah ah ah,poveri idioti. Ora voi fa brutta fine sotto potere di muscoli di orchi”
Dalla foresta spuntò anche un grande ogre con in mano una minacciosa ascia a due mani. Raul potè vedere il suo volto con chiarezza. Due minuscoli occhi rossi occupavano una porzione piccolissima del grande volto dell’orco. Aveva un tatuaggio inciso nella pelle su una guancia. Era pelato e ciò gli conferiva un tono ancora più aggressivo. La sua corporatura muscolosa non lasciava dubbio che chiunque si fosse trovato tra le sue braccia avrebbe avuto la spina dorsale rotta in pochi attimi.
Senza proferire alcun’altra parola l’ogre diede l’ordine di attaccare.
Gli uccelli che volteggiavano sopra la testa di Raul e del suo esercito lasciarono cadere dei giganteschi massi che stringevano con gli artigli,riducendo in polvere decine di sventurati zombie che si erano trovati giusto sulla traiettoria dei massi.
In sequenza gli orchi scagliarono le loro asce,ma le più vennero respinte dal muro di vento magico innalzato dal Mago. I lupi cominciarono a caricare l’esercito di non morti,andando a impattare contro i vampiri. E scheletri e lich controbatterono al fuoco nemico.
Lo scontro ebbe inizio.
I vampiri combattevano con foga e tenacia ma a quanto sembrava quegli orchi sembravano conoscere i loro punti deboli e molti si incenerirono all’istante con una spada piantata nel cuore o con le teste mozzate. Thanelos intanto scagliò un altro incantesimo,un'altra palla di fuoco,ma questa volta gli effetti furono minimi,se non nulli. Nessun orco infatti cadde a terra ustionato o dolorante,e la sua espressione provocò l’ilarità del generale orco.
“Noi addestrati a tua sporca magia. Tu non può fare niente contro noi!”
Sputo a terra dopodiché sottrasse un ascia a un orco vicino a lui e la scagliò con forza verso il mago.
L’ascia superò il muro di vento ma questo le fece cambiare direzione e andò a impattare sul cranio di uno scheletro che andò in frantumi.
Nel frattempo i lupi erano stati decimati dalle frecce degli scheletri,incuranti di colpire i vampiri superstiti,in quanto a loro non sarebbe stato causato danno alcuno.
Uccisi i lupi e i loro cavalieri,vampiri e zombie si lanciarono alla carica contro gli orchi e benché fossero partiti insieme gli zombie arrivarono molto dopo i vampiri addosso agli orchi.
Si sentivano gli orchi urlare di dolore,Raul poteva vedere alcuni suoi vampiri mordere in più punti i corpi degli orchi,con l’intenzione di succhiare loro tutto il sangue che avevano in corpo.
Lo scontro si protrasse ancora per ore senza i non morti evidenziassero un accenno di stanchezza.
Il generale orco aveva da tempo perso la sua spavalderia. Benché avesse ucciso lui stesso moltissimi zombie il loro numero sembra non diminuire mentre diminuivano rapidamente le sue truppe e la sua forza fisica.
Raul intanto non aveva ancora mosso dito,in quanto era troppo occupato a pensare a come neutralizzare quelle sottospecie di aquile che stavano decimando il suo esercito e che erano troppo distanti per essere raggiunte dalle frecce degli scheletri.
Gli venne un idea soltanto in quel momento,ma non esitò a metterla in atto.
Pronunciando alcune parole arcane fece apparire sulle ali delle aquile una sostanza melmosa,che fece rallentare i movimenti degli uccelli fino a quando non furono più in grado di sbattere le loro ali.
Si schiantarono a terra in pochi secondi,e il suono delle loro urla di terrore fece gioire un lato dell’animo di Raul.
Alla fine anche l’ultimo orco venne ucciso e il grande ogre rimase da solo. Circondato non buttòl’arma ma si gettò a testa bassa tra i vampiri con l’intento di massacrarne il più possibile.
Non fu così però; Gavir,che era tra i vampiri sopravvissuti allo scontro gli si parò davanti e frenò la corsa dell’ogre.
L’ogre sorrise nel trovarselo davanti,ritenendolo una facile preda. Velocemente alzò l’ascia fin sopra la testa e la fece calare con forza contro gavir,che pose la sua spada davanti al suo volto per intercettare l’arma nemica.
Gli allenati muscoli del non morto ressero l’impatto e prima che l’incredulo ogre si potesse riprendere dallo stupore,scattò in avanti e piantò la spada tra i robusti addominali dell’ogre.
Raul fece riunire tutto ciò che rimaneva del suo esercito,e poté constatare che le perdite erano state disastrose,ma ciò non gli importava molto. C’era molta carne fresca a terra e tutta la notte davanti per far sorgere un nuovo esercito di fedeli sudditi.
***
Correva con il sudore che colava incessantemente dalla sua fronte. Spesso si guardava intorno,frenetico,lo sguardo pieno di terrore. Non vedeva nulla. La perenne semioscurità di quelle caverne forniva un’ottima copertura,e loro erano da sempre maestri nell’arte della furtività. Non sarebbe riuscito a vederli neanche alla luce del Sole,ma sapeva che erano lì,lo stavano inseguendo. Il suono dei suoi passi veniva potenziato dall’eco dei cunicoli. Avrebbero capito senza difficoltà dove si trovava.
Un semplice click fece capire al fuggiasco che la sua latitanza,e probabilmente anche la sua vita,erano finite.
Un piccolo dardo saettò veloce nell’aria e il fuggiasco umano sentì una dolorosa fitta al polpaccio. Urlando si buttò a terra,portando entrambe le mani alla gamba ferita e contraendo il volto in una smorfia di profondo dolore e paura. Il veleno aveva già cominciato a fare effetto.
Corpi eterei bluastri apparvero intorno a lui. Danzavano attorno al suo corpo,ridendo. Toccarono la sua fronte e lui cominciò a sentirsi strano,come se qualcosa stesse lottando dal suo interno per uscire. Dopo qualche istante vide una mano bluastra uscire dal suo petto. Era lui! Guardò se stesso con un aria mista di stupore e terrore,mentre vedeva la sua anima lottare per uscire dal suo stesso corpo. Una volta uscita l’anima lo guardò,dopodiché si girò e si allontanò insieme agli altri esseri bluastri.
Dall’ombra emerse una decina di persone,con in pugno delle piccole balestre. Estrassero il dardo allucinogeno dalla gamba dell’uomo e attesero che arrivasse il loro capo. Avrebbero voluto utilizzare un dardo mortale,ma era stato vietato loro di uccidere quell’uomo. Ai fuggiaschi provvedeva direttamente il loro capo.
Non erano molto alti,e vestivano abiti semplici,scuri come la notte,con un mantello che arrivava alla fine della schiena. L’unica cosa che si poteva notare erano due lunghe orecchie che fuoriuscivano da un cappuccio che nascondeva l’intero volto,lasciando intravedere soltanto due puntini rosso sangue,laddove si sarebbero dovuti trovare gli occhi.
Passi cadenzati risuonarono alle loro spalle. Non si voltarono,già sapevano chi fosse e perciò si allontanarono dal corpo dell’uomo. Uscito dalle ombre,l’elfo scuro si ritrovò davanti ai suoi esploratori. Avevano svolto egregiamente il loro compito,ora doveva svolgere il suo. Senza degnarli di uno sguardo sorpassò gli altri elfi,e si avvicinò all’umano. L’effetto del dardo era oramai svanito e il fuggiasco poté osservare l’elfo scuro avvicinarsi. Era vestito elegantemente,gli anelli che portava alle mani sembravano rilucere di energia propria.
Prese l’umano per la gola e senza molta fatica lo tirò su. Poteva osservare i suoi occhi terrorizzati,che cominciavano a versare qualche lacrima sapendo già cosa sarebbe successo di lì a poco. Un maligno sorriso apparve sulla bocca dell’elfo. Lasciò la presa e lo fece cadere a terra, poi si abbassò.
“Che ne dici se adesso facciamo un giochino?”
La sua voce era un sibilo,simile più a un serpente che a un elfo. Estrasse un piccolo pugnale dall’elsa tempestata di gemme,e la fece passare davanti gli occhi dell’uomo.
“Sai cosa ti aspetta adesso,vero? La giusta punizione per aver tentato di fuggire”
Le lacrime cominciarono a sgorgare copiose dagli occhi dell’uomo,terrorizzato. Non voleva morire.
L’elfo emise una risata acuta,una risata che rimbalzo sulle pareti della caverna,sembrando provenire da ogni direzione.
Ordinò agli altri elfi di bloccare a terra l’uomo,e dopo averlo fatto, lentamente cominciò a far passare la punta del pugnale sul petto dell’uomo,tagliando il logoro tessuto che lo copriva.
Scoperto il petto,lo incise lentamente per tutta la sua lunghezza. L’uomo cominciò a contorcere il volto in una smorfia di dolore. Tentò di divincolarsi,ma la stretta degli elfi era ben salda.
Il sangue cominciò a uscire lentamente dalla ferita. Insoddisfatto,l’elfo incise nuovamente nello stesso punto,questa volta più a fondo. Il sangue cominciò a uscire a fiotti.
L’uomo urlò.
L’elfo,con calma,ripose il pugnale,e estrasse da una tasca ciò che all’uomo sembrarono due piccoli uncini. Gli uncini vennero infilati all’altezza dello sterno,dalle due estremità delineate dalla ferita.
“Forse adesso sentirai un po’ male” sibilò.
Poi li afferrò saldamente e tirò in due direzioni diverse. La pelle venne strappata via dalla carne senza difficoltà. Come un lenzuolo viene tirato via dal letto.
L’urlo di dolore dell’uomo fu interminabile.
“Se ti stai chiedendo come mai non sei morto o svenuto,ti dico subito che è merito mio.” Disse l’elfo,ma l’uomo riuscì a malapena a sentirlo,il dolore era troppo acuto per permettergli di percepire altro. Poi improvvisamente il dolore passò. L’uomo era sorpreso,non capiva cosa fosse successo. Alzando lo sguardo poté vedere la sua stessa gabbia toracica e tutto ciò che essa conteneva.
“è così che studiamo il corpo degli esseri viventi.” Spiegò l’elfo “ma tu non sei qui per essere studiato.”
L’elfo allungò la mano verso il suo corpo e la inserì all’interno della gabbia toracica. Poté sentire il viscidume degli organi,ma non gli dava fastidio. Scansò un polmone per raggiungere la sua meta: il cuore. Lo afferrò saldamente. Poteva sentirlo battere all’impazzata,pompando più sangue possibile all’intero corpo e al cervello dell’uomo. Sorrise,osservando il volto dell’uomo: Il volto era un misto di sudore e lacrime,gli occhi erano spalancati dal terrore,le narici dilatate per permettere un maggior passaggio d’ossigeno e il respiro estremamente affannoso.
“Addio.” Sussurrò.
Le mani si strinsero repentinamente attorno al suo cuore,come una morsa,comprimendolo finché non esplose. Un fiotto di sangue lo investì ma non ci fece caso,non gli importava molto. L’uomo,a terra,lanciò un ultimo grido di dolore,mentre la vita lentamente se ne stava andando dal suo corpo.
Tutto il sangue lentamente cadde a terra,colando per i fianchi,mischiandosi alla terra,formando uno strano impasto. L’elfo estrasse ancora il pugnale,si abbassò verso la fronte dell’uomo e incise di nuovo. Non tracciava una linea questa volta,ma una parola: S E R P A V.
Il suo nome.
Era una sua preda e come ogni preda lui la marchiava con il suo nome inciso sulla fronte.
Compiacendosi di se stesso,Serpav si alzò,ringuainò il pugnale e cominciò a tornare da dove era venuto insieme agli altri elfi.
“Era proprio nece…” l’elfo che aveva parlato non finì la frase. Tra le mani di Serpav scivolò un altro pugnale,contenuto all’interno delle maniche e venne immediatamente lanciato verso la gola dell’elfo. Immediatamente portò le mani alla gola,poi cadde morto a terra.
“Mai rivolgermi la parola senza il mio permesso” ammonì Serpav rivolto verso il cadavere.
Gli altri elfi non proferirono parola,né si mostrarono impauriti. Annuirono semplicemente.
Ripreso il pugnale e pulitolo sui vestiti del cadavere,se ne andarono silenziosi come le ombre di cui erano figli.
***
Fuoco. Esso lambiva con le sue lunghe lingue l'ambiente circostante. Fiumi di lava scorrevano attraverso canali rocciosi diramandosi più e più volte,sino a creare un magnifico reticolo rosso. L'aria,satura di zolfo;la luce,solo quella prodotta dalle fiamme. Così appariva l'immensa grotta infernale.
Una gigantesca volta di roccia,culminante con minacciose stalattiti al cui interno svolazzavano migliaia di piccoli esseri demoniaci,sorridenti;sorresi privi di gioai,pieni di sadismo. Il caldo opprimente avrebbe ucciso chiunque; solo ai demoni e alle creature infernali era concessa la possibilità di abitare quel luogo di malvagità.
Al centro della grotta vi era un immenso palazzo interamente scavato nella roccia viva;imponenti torri presidiate da strani esseri femminili alati con fattezze umane. Esse erano vigili,attente che nessun ospite indesiderato entrasse.L'interno era costituito da unenorme corridoio a tre navate,sorrette da possenti colonne finemente intarsiate;il soffitto,un piatto tappeto di lava sorretto magicamente,fungeva da illuminazione,il terreno era invece uno spartano pavimento in pietra,in evidente contrasto con il resto e con le pareti,levigate e decorate con bassorilievi raffiguranti scene di guerra tra demoni e altre razze o tecniche di tortura. Alla fine della navata centrale,vi erano due esseri infernali:pelose zampe ovine unite a un possente busto umano corazzato e un orrendo muso caprino,con occhi neri come il carbone e due lunghe corna ritorte che fuoriuscivano dagli elmi delle loro armature colore dello zolfo. Questi sorvegliavano,alabarde in mano. un immenso portale anch'esso minuziosamente cesellato,raffigurante due immensi volti demoniaci che,severi,scrutavano chiunque volesse entrare. I due satiri erano irrequieti,quello che stava accadendo non piaceva a nessuno,si poteva notare che non fossero felici di trovarsi lì in quel momento.
Dietro il portale infatti era in corso una riunione tra i migliori e più spietati generali dell'Inferno. La sala,a differenza dell'ingresso dell'edificio,era una piccola grotta circolare scarsamente decorata e arredata soltanto con qualche arma appesa sulle pareti.Sulle pareti,delle fiaccole,poste a intervalli regolari per fornire una sorta di illuminazione. Al centro,un singolo tavolo di legno con sopra diverse mappe dell'Inferno o delle grotte limitrofe. Intorno al tavolo vi erano numerosi individui,che erano intenti a discutere riguardo la difesa del luogo.
Erano esseri dalle fattezze quasi umane;uno di loro indossava un'armatura rosso cupo che rifulgeva tetra alle fiamme delle torcie,quasi animata di vita propria per via di quell'ipnotizzante gioco di luci.Sui due guanti pesantemente borchiati si potevano notare traccie di sangue ormai essiccato,chiaro avvertimento che le borchie non erano semplici decorazioni. Un grande spadone di uno strano metallo anch'esso rosso pendeva dalla sua schiena.
"Dobbiamo trovare il modo di difenderci."
Stava dicendo agli altri demoni presenti in sala.
"Non sarà molto difficile,giochiamo in casa,noi sappiamo come sfruttare ogni singola buca del terreno qua fuori."
Intervenne un altro.
"Abbiamo già perso troppe truppe,il rapporto ci è sfavorevole,non possiamo essere avventati."
Fu la risposta di un terzo.
"Potremmo sferrare un attacco frontale,non avranno tempo per organizzarsi."
"Troppo rischioso,solo un idiota attuerebbe un piano simile."
ribattè il primo. Il demone offeso guardò con astio Ur-Salak e subito portò la mano alla spada,cosa che il demone dall'armatura rossa accolse con un sorriso,pronto a combattere.
I loro animi si raffreddarono subito dopo insieme a tutta la stanza. Un vento gelido spense tutto d'un tratto tutte le fiaccole e buttò le carte a terra. Altrettanto improvvisamente,apparvero tre serpenti fiammeggianti che cominciarono a avvolfersi sinuosi come su di un tronco invisibile. Arrivati al culmine le fiamme aumentarono,creando un cono di fuoco dal quale emersero tre distinte figure,una perogni serpente che esplose subito dopo.
"L'alto Consiglio..."
Disse pieno di riverenza Ur-Salak,lasciando la presa sulla spada in procinto di essere sguainata.
Adesso,in quella sala,si trovavano i più potenti demoni degli inferi occidentali: Tre colossi armati che erano stati convocati per salvaguardare il loro dominio.
Il demone al centro tese la mano con il palmo rivolto verso l'alto davanti Salak e gli altri. Era coperta da un guanto d'arme ma si poteva notare al di sotto una mano di colore scuro,forse bruciata. Compresero immeditatamente cosa voleva,così Salak raccolse da terra una mapa della zona. Come gli fu consegnata la spiegò sul tavolo e la studiò attentamente.
Nel frattempo anche gli altri due arcidemoni si erano avvicinati al tavolo,pur mantenendo un certo distacco da quello che stava consultanto la mappa.
Un osservatore esterno abrebbe facilmente potuto pensare che fossero un complesso scultoreo,tale era la loro immobilità.
"Sir Drachenflame?"
Alitò quasi tremando Salak.
"Taci."
Fu la secca risposta che provenne dal demone,il cui viso erano integralmente coperto dall'elmo.
"Chi è il memico?"
Chiese Drachenflame dopo alcuni attimi di estenuante silenzio. La voce era profonda,guttarale,intrinseca di odio.
"Un plotone di creature infernali provenienti da un clan ostile. Le nostre sentinelle ci avvisano che un gran numero di succubi sono pronte a sparare su qualunque cosa capiti loro a tiro."
L'enorme demone rimase immobile a ascoltare ciò che gli veniva detto.
"Arden,Kimura,radunate i vostri eserciti. È tempo che il nemico assaggi il vero potere di chi domina questi luoghi."
Poche parole,che lasciarono però intendere che Drachenflame,nella sua mente,avesse già ideato un piano.
Gli alri due generali annuirono,dopodichè tutti e tre gli arcidemoni,senza una parola di congedo, si teletrasportarono fuori. Dopo poche ore i cadaveri nemici ricoprivano la maggiorparte del terreno. I tre Signori dei Demoni,armi in pugno e con le armature macchiate dal sangue nemico,stavano finendo i pochi superstiti indifesi; se non fosse stato per l'elmo che impediva la vista del volto,si sarebbe potuta constatare una gioia immensa sulle loro facce mentre infilavano la propria arma nel petto di un nemico supplicante pietà.
***
Nella foresta tutto taceva. Non un solo suono animale era udibile, perfino il vento, che stava portando le nubi su quel cielo così sereno, sembrava non riuscire a toccare le foglie e le fronde degli alberi. Sembrava che in quel bosco il tempo si fosse fermato. L’unico rumore fu quello improvviso e secco di una freccia che fendeva l’aria, scagliata con assoluta precisione sul cervo che, tranquillo e ignaro del pericolo, stava brucando l’erba. L’elfo, immobile dietro il tronco di una quercia, seguì con lo sguardo la freccia finché essa non si piantò nel cranio della bestia, che si accasciò a terra. Non voleva farlo soffrire, e colpendo il cervello, era sicuro che ciò non fosse avvenuto. L’elfo si avvicinò alla carcassa,si inginocchiò e innalzò una preghiera agli dei, promettendo che nulla, di quell’essere magnifico, sarebbe stato sprecato. Estrasse la freccia dal cranio,e il sangue cominciò a uscire macchiando di rosso l’erba.
“Aramyl,muoviti,siamo in ritardo.”
Disse un altro elfo,poco distante. Aramyl sospirò,poi si mise in spalla il cadavere e si diresse verso Gavisal, la città elfica per eccellenza. Nessuno sapeva il motivo per il quale era stata indetta quell’assemblea; era stata infatti una cosa improvvisa.
Aramyl non aveva mai conosciuto i suoi genitori. La madre,un elfa scura stranamente piena di scrupoli,appena riprese le forze dopo il parto,scappò via con il suo bambino. Aveva letto di un condotto che portava alla superficie e era seriamente intenzionata a raggiungerla,e fu così che i Cacciatori le si aizzarono contro. Aveva diversi giorni di vantaggio,in quanto all’inizio nessuno si accorse della sua scomparsa ma quando passarono a ritirare il bambino per portarlo nella Scuola d’Addestramento,lontano da lei,capirono tutti. Aveva dato più volte segni di debolezza e quell’atto fu la proba definitiva del suo tradimento. I Cacciatori vennero subito incaricati di andarla a riprendere: quella fu la prima missione di Serpav. Le tracce degli elfi scuri erano tra le più difficili da seguire,in quanto erano addestrati proprio per non lasciarne,ma i Cacciatori confidavano che una madre in fuga,disperata e spaventata,avrebbe commesso facilmente qualche errore. E così fu: delle tracce lasciate nel fango stavano guidando Serpav e il resto del gruppo. Raggiunsero la donna il terzo giorno,oramai stremata dalla mancanza di cibo e acqua. Giaceva a terra. I capeli,una volta lisci come la seta,erano arruffati e increspati. Il volto e le mani completamente sporchi di terra rappresa e le vesti,misere come la sua condizione sociale,sgualcite e strappate in più punti. Stava singhiozzando,e quando il gruppo si fece più vicino,cominciò a piangere forte,nascondendosi il volto con le mani. Quella fu la prima uccisione di Serpav tra i Cacciatori.
Il bambino però era scomparso,ma non se ne curarono più di tanto: se non era già morto,lo sarebbe stato presto. Tornarono quindi in città,portando con loro la carcassa della donna come priva della riuscita della missione la donna però non stava piangendo per l’arrivo dei Cacciaori: le sue erano lacrime di gioia. Era riuscita nel suo scopo: aveva lasciato suo figlio più avanti,in una grotta collegante con la superficie,e poi era tornata indietro per impedire ai cacciatori di raggiungerla quando si trovava troppo vicina al bambino. L’ultimo suo pensiero fu che il bambino non avrebbe vissuto in quel mondo di orrori,e che,se fosse sopravvissuto,avrebbe avuto probabilmente una vita migliore di quella che avrebbe avuto tra i suoi simili.
Durante tutta la fuga il bambino aveva alternato il sonno al pianto e all’allattamento e quando fu abbandonato stava proprio dormendo,tanto che commosse sua madre al punto da farle pensare di riprendere il bambino con sé e continuare la fuga. Un pensiero fugace e folle,che non attecchì nella mente della giovane madre.
Quando si svegliò fece quello che fanno tutti i neonati quando si svegliano: cominciò a piangere. Fortuna volle che lì vicino,in quel momento,un gruppo di giovani elfi stesse giocando a nascondino,e uno di loro si era nascosto proprio nella grotta dove si trovava il pargolo,così che poté sentirne distintamente il pianto. Un brivido freddo fece accapponare la pelle del giovane che,spaventato a morte,corse fuori dalla grotta urlando e correndo come un fulmine verso il padre,un uomo alto e robusto,più di un normale elfo,dagli occhi scuri e con corti capelli biondi,con un pizzico di barba sul mento,anch’esso lì vicino,raccontando di un mostro con un ruggito spaventoso nella grotta. Il padre lo osservò con un cipiglio sulla fronte: non capiva se il figlio stesse parlando sul serio oppure se fosse tutto uno scherzo,ma dopo un attimo osservò che il bambino era veramente spaventato e ,spada in pugno,andò a controllare. Quando nella penombra trovò il bambino non seppe se ridere di gusto per il genere di mostro che aveva spaventato il figlio o essere lui stesso molto preoccupato per il fatto di aver trovato un elfo scuro,seppur neonato,così vicino alla superficie. Di sicuro non ci era arrivato da solo. Repentinamente si guardò attorno,con la spada davanti a sé,temendo si trattasse di una trappola,ma poi capì che se veramente quello fosse stato un tranello,lui sarebbe già morto,e non avrebbe avuto il tempo di concepire tutti quei pensieri. Osservò il bambino per diverso tempo,chiedendosi cosa avrebbe dovuto fare con lui: lo avrebbe dovuto uccidere? Si trattava pur sempre di un elfo scuro,una razza bandita dal mondo di superficie millenni prima per la crudeltà delle sue azioni. Per fortuna del bambino però Folber,il nome dell’elfo che lo aveva trovato,era un tipo di uomo che non sapeva usare solo il braccio,ma anche la mente: una creatura diventa quello che è a causa dell’educazione che lesi impartisce e per le persone che frequenta,e solo quello influisce. Folber prese quindi in braccio il bambino,pur continuando a osservarsi intorno,deciso a portarlo in città e discutere della faccenda con gli altri abitanti. Notò che gli occhi del bambino erano arrossati e in costante lacrimazione e intuì che quella luce,seppur flebile,gli stava dando fastidio. Si tolse quindi il mantello e lo usò per coprire gli occhi del piccolo dai raggi dei Soli quando uscì dalla grotta. Nel frattempo i bambini avevano interrotto i loro giochi,richiamati dal piccolo Recconas a osservare il padre che usciva dopo aver sconfitto i cinque mostri che si trovavano nella grotta e che lui aveva scoperto. Grande fu il cambiamento di Recconas quando il padre mostrò loro cosa nascondeva sotto il mantello. L’orgoglio lasciò immediatamente posto alla vergogna,mentre i suoi amici lo prendevano in giro per il suo coraggio. Recconas era abbattuto,ma il padre lo consolò,agitandogli i capelli con la mano.
“ Non ascoltarli,avrai tantissime altre occasioni per mostrarti coraggioso. Magari un giorno ci sarà veramente un mostro nella grotta e sarai proprio tu a ucciderlo.”
Il bambino si immaginò subito la scena come solo un bambino può fare e la vergogna appena subita fu presto dimenticata.
In città l’argomento fu caldamente discusso per diversi giorni nei quali la cura del piccolo fu affidata a Fala,la moglie di Folber,che non si dimostrò contraria all’idea del marito di tenere il bambino ma che anzi gli si affezionò quasi subito.
C’era chi la pensava come Folber e chi,come in ogni comunità evoluta,no. Taluni infatti pensavano che quel bimbo sarebbe stato la peggiore delle piaghe e che avrebbe corrotto tutti i bambini con il quale avrebbe passato del tempo. Non c’era modo di raggiungere un accordo,così che dovette intervenire la stessa Isbil,la regina degli elfi per porre fine alla questione. Dopo attenta riflessione essa dette ragione alle parole di Folber. Fu così che il bambino,a cui fu dato nome Aramyl,crebbe nella famiglia di Folber,conscio della sua situazione; evitato da alcuni,accettato da altri.
“Il colore di questa pelle non è per me una maledizione,anzi… è il segno che non tutto deve essere ciò che appare,e anche se sarò pregiudicato,vivrò sereno con coloro che veramente mi conoscono.”
Aramyl soleva dire queste parole ogni volta che qualcuno gli chiedeva cosa pensasse della sua razza.
Il cielo,da sereno che era,divenne plumbeo; nubi scure sembrarono inghiottire il Sole che fino a poco prima splendeva come una fiaccola. Non è un buon segno, si disse Aramyl. Lui stesso sembrò sparire all’interno della foresta; i suoi capelli neri come la notte e la sua pelle gli offrivano una mimetizzazione quasi totale accentuata anche dall’abito da caccia che indossava,tanto che Recconas,l’altro elfo,lo avrebbe perso di vista se non fosse stato per gli stivali bianco latte che calzavano.
Il viaggio proseguì senza che una parola fosse proferita e dopo alcuni minuti giunsero agli imponenti cancelli di Gavisal. Aramyl,benché si trovasse lì da molto tempo,non riusciva a non meravigliarsi di fronte al capolavoro dell’architettura elfica: vi erano immense mura di legno che sembravano fondersi con l’ambiente circostante e che delimitavano perfettamente i confini della città,quasi che queste ultime fossero un tutt’uno;le mura erano costantemente presidiate da temibili arcieri; il portale,anch’esso in legno,era finemente e riccamente intarsiato d’oro,con stupendi e sinuosi arabeschi. Le porte vennero aperte per permettere l’entrata ai due cacciatori di ritorno e mentre queste si aprivano Aramyl pensò a un’ostrica che lentamente si schiude per mostrare la bellezza della propria perla. Fu così che gli si presentò la città. Alberi sulle cui sommità erano costruite case in legno;altre,in pietra bianca, poggiavano invece sulla solida terra creando uno stupendo effetto di contrasto con l’ambiente circostante; le strade,lastricate anch’esse di pietra bianca e che disegnavano curve in qualunque direzione si guardassero,erano deserte. Quelle stesse strade che fino a qualche giorno prima erano piene di vita,di gente che andava da un capo all’altro della città,di bambini che giocavano…perfino i negozi erano chiusi.
“Siamo in ritardo,hanno già cominciato. Dobbiamo muoverci.” Disse Recconas in tono pacato guardandosi attorno. Si diressero verso il centro della città passando per una graziosa stradina dove sul balcone di ogni casa vi era un vaso di fiori. Nella piazza in cui giunsero poco dopo,quella principale,presentava nel suo centro una strana struttura: tre tronchi finemente lavorati che si intrecciavano congiungevano sulla sommità formando un arco,e sotto questo arco,racchiuso dal perimetro delle basi degli alberi vi era uno strano liquido trasparente che si agitava,come se quel complesso fosse solo uno strumento per creare bolle di sapone e il liquido al suo interno il sapone stesso. Vi entrarono senza indugio. Subito sentirono una leggere carica elettrica attraversare loro il corpo e un attimo dopo si trovarono in un altro luogo,nel quale era in corso un acceso dibattito. Aramyl rimase leggermente spesato,il teletrasporto non era mai un mezzo piacevole da utilizzare. Spaziò con i suoi occhi bianchi,come quelli di un cieco,l’ambiente circostante: una radura circolare gremita di gente di tutte le età. Al centro vi era un tavolo in pietra e lì intorno vi erano i governanti delle varie città elfiche.
La famosa calma propria degli elfi sembrava essere una cosa inesistente in quel luogo. Tutti erano in piedi,tutti discutevano su qualcosa di cui Aramyl e Recconas erano ancora all’oscuro. Soltanto chiedendo agli altri presenti seppero la cause dell’agitazione del loro popolo che li stava facendo sembrare tante formiche che si muovevano disordinatamente.
“Gli elfi scuri hanno intenzione di invaderci?” esclamò Recconas pieno di stupore,guardandosi istintivamente intorno,come se già si trovassero lì,a godere della loro paura. Ad un tratto Isbil,la regina degli elfi,notato l’arrivo dell’elfo scuro e del suo compagno,richiamò a gran voce il silenzio. Benché la sua voce fosse melodiosa e dolce come quella di una madre che canta una ninna nanna al proprio figli,sortì subito l’effetto voluto. Il rumore si placò immediatamente,tutti rivolsero il loro sguardo verso la regina. Quando ebbe la loro completa attenzione parlò:
“Cari compagni elfici. Come avete saputo poco fa,questi sono tempi duri; i nostri cugini, che secoli fa si rifugiarono nelle grotte per nascondersi dal Sole,hanno intenzione di attaccarci. Vogliono spazzarci via dalla faccia di Asha.”
Prese un momento per riprendere fiato. Tutti gli elfi ricominciarono a mormorare tra loro ma ristabilirono subito il silenzio quando la regina ricominciò a parlare.
“Non dobbiamo però temerli. Le nostre mura sono solide e hanno resistito a moltissimi attacchi,quindi vi chiedo di continuare a seguire il vostro usuale stile di vita.”
Fece un’altra pausa,poi indicò l’elfo scuro,e apparve un abbozzo di sorriso sul suo volto.
“Nel frattempo,Aramyl,partirai a chiedere aiuto a Felerra,la città umana a Nord di qui.”
Aramyl rimase paralizzato dallo stupore e subito dopo sentì il peso delle migliaia di occhi che lo osservavano,gli occhi di tutti i cittadini di Gavisal. Colto alla sprovvista più totale cominciò a balbettare.
“Ma…per…perché io?”
Fu l’unica cosa che riuscì a dire. Quella situazione lo stava mettendo completamente a disagio.
La regina rispose candidamente,senza mai perdere quel suo tono di madre affettuosa.
“Tu conosci meglio di chiunque altro la violenza di cui è capace il tuo popolo,hai vissuto tutto ciò sulla tua pelle e quindi ti sarà più facile argomentare sulla nostra situazione con il re.”
L’animo di Aramyl era un turbinio di emozioni: la gioia per il fatto di essere stato completamente accettato dalla società elfica che lo stava dimostrando proprio affidandogli quell’incarico di fiducia,e la paura di fallire,di non riuscire a convincere il re di supportarli in una possibile battaglia. Di tutto quello che voleva dire soltanto tre parole uscirono dalla sua bocca.
“Sì,mia signora.”
“Ti ringrazio,nobile elfo,per il compito di cui ti fai carico. Partirai domani stesso,ad attenderti avrai un piccolo manipolo di uomini. Saranno la tua scorta e la prova che non sei un normale elfo scuro agli occhi del re.”
Con un raggiante sorriso Isbil dichiarò conclusa l’assemblea. Tutti si alzarono e si complimentarono con Aramyl. Quando non ci fu più nessuno Recconas poggiò una mano sulla spalla dell’elfo scuro.
“Complimenti vivissimi,amico.”
“Mi accompagnerai,Recconas?” chiese di rimando Aramyl.
“Cosa?”
“Mi accompagnerai? È un viaggio che non posso affrontare da solo.”
Recconas sorrise e disse.
“Certo che ti accompagnerò,non posso mica lasciarti prendere per te tutta la gloria.”
Aramyl sorrise e si girò verso l’elfo.
“Grazie,amico mio.”
Recconas strinse gentilmente la spalla di Aramyl come per dargli sostegno e si diresse verso il teletrasporto,mentre Aramyl lo osservava. Se però fosse rimasto ancora un poco avrebbe visto una lacrima scendere sul volto dell’elfo scuro,felice di tutto quello che stava provando.
***
La Biblioteca era situata sul picco più alto delle Grande Catena Montuosa. Era una struttura fatiscente,nessuno aveva idea di quando questo fosse stata edificata. Alcuni credevano addirittura che fosse stata posta lì dagli dei stessi durante la creazione del mondo. Era una costruzione in pietra: il portone,in bronzo ormai ossidato dal tempo,era decorato con arcani ghirigori e da tetri bassorilievi narranti fatti ormai dimenticati da lungo tempo. Le numerose guglie sembravano sfidare la natura stessa cercando di raggiungere il cielo. L’edificio,costituito da trenta piani,di cui dieci sotterranei,all’interno era sorretto da imponenti colonne d’onice,e su ogni colonna vi era una fiaccola,per illuminare l’edificio quando la luce diurna,filtrata dai giganteschi rosoni posti sui quattro lati dell’edificio,veniva meno. Il pavimento,anch’esso in pietra,era ricoperto da un prezioso tappeto di velluto rosso. L’ dentro,sopra un immenso numero di scaffali,vi era custodito l’intero sapere del mondo. Qualunque tomo si cercasse,anche il più antico di tutti o il più arcano contenente gli incantesimi più potenti,si trovava lì. Naturalmente l’accesso era consentita solo ai più temerari e fortunati,causa le numerose insidie che si affrontavano per raggiungerla,e la scalata della montagna era solo la prima e più facile prova.
All’interno,il Bibliotecario,custode del sapere,leggeva rilegava libri e riparava quelli più vecchi. Anche di lui si sapeva ben poco e molte persone dicevano che fosse la manifestazione umana della Biblioteca stessa.
Il Bibliotecario era di corporatura esile. I capelli bianchi e abbondanti su tutta la testa,erano lisci e scendevano a incorniciare un volto pieno di rughe ma i suoi occhi,vispi come quelli di un bambino curioso,scuri come la notte,e le sue mani,agili e affusolate come quelle del più abile tra i ladri,sembravano dire che lui fosse soltanto un fanciullo.
In fondo al salone principale,saliti i gradini,vi era il suo scranno,con davanti il più grande libro che fosse stato mai redatto da qualcuno: il registro di tutti i libri della Biblioteca. Era appunto seduto su quello scranno,intento a sfogliare un libro,in cerca di un qualsiasi dettaglio da riparare,che qualcosa gli fece alzare di scatto la testa;una sensazione forse,che per alcuni interminabili istanti,fece perdere gli occhi del vecchio nel vuoto. All’improvviso si alzò. Si muoveva velocemente,più del normale per un comune vecchio,anche se questi conosceva a memoria l’intera pianta della Biblioteca e l’esatta disposizione e contenuto di ogni libro sugli scaffali. Quindi,anche se era buio e la sala era illuminata solo dalle migliaia di fiaccole poste sulle colonne,in pochi minuti si ritrovò davanti a ciò che andava cercando. Era un libro con rilegatura in cuoio tinto di grigio,presentante strani simboli sulla copertina. Lo aprì e lo lesse.
Il libro sfuggi alla presa del vecchio e cadde a terra,procurando un rumore sordo che ruppe il silenzio della Biblioteca. Il Bibliotecario lo raccolse e lo rimise nel suo luogo,dopodiché,pensoso,si diresse verso la sommità della torre.
Sulle sue labbra,secche e screpolate, vi erano solo delle parole che cominciò a ripetere tra sé e sé
“Quindi,alla fine,il momento è giunto…”
Edited by Xsantralas - 19/8/2010, 21:43